Il rientro


Aeroporto di Fiumicino, terminal 3, ore 19 in punto : al controllo passaporti il tipo mi tiene quasi cinque minuti, controlla tutti i timbri, vuole essere sicuro che tutto coincida. "Hai fatto un bel giro , bentornata in Italia! " dice facendomi segno che posso andare. 

Eh già. 24 giorni di viaggio, quattro nazioni visitate . E ciò significa quattro fusi orari, quattro diverse monete , quattro lingue (ma quello è il male minore, visto che tanto non le capirei lo stesso..)
È stato intenso questo tour dell'Asia. Ricordo la prima sera a Dubai, quando Maurizio e Donatella De Bernardis mi sono venuti a prendere e mi hanno portato a mangiare libanese di fronte al Burj Khalifa , eravamo davanti al grattacielo più alto del mondo, illuminato in modo speciale per celebrare l’ Eid Mubarak, la fine del Ramadan , e parlavamo delle magie di Dubai , e anche delle sue difficoltà. Mi sembrava che domande e risposte viaggiassero sulla stessa frequenza; non era più solo un sentito dire, ero lì , anch'io, a toccare con mano quel mondo fatto d’oro.

E poi eccomi, in Sri Lanka , circondata da un affetto e da un aiuto fuori dal comune. Tutti si sono fatti in quattro per aiutarmi a portare a termine il mio progetto fotografico. Ora la palla passa a me, e spero di non deluderli.

La parentesi a Kuala Lumpur , una città a modo suo accogliente e che ricordo con piacere , se non altro per il suo ministro!

E poi a chiudere , Bangkok . "Non ha mezze misure questa città, o la ami o la odi", mi era stato detto a destra e manca.
Non lo so se sia davvero così. Certo non posso dire di essermene innamorata, ma penso che abbia un suo fascino, solo che io non sono stata troppo brava a raccoglierlo. E la stanchezza accumulata non ha di certo aiutato.
Va vista Bangkok, sicuramente , va vista e va vissuta a fondo. 
Tante le sue contraddizioni, e il rimpianto è quello forse di non aver avuto il tempo, né la lucidità , di investigarle, di andare a fondo e tentare di capire, anziché doverle prendere come un dato di fatto . 

Last but not least , voglio ringraziare tutti voi, per avermi accompagnato in queste tre settimane. Ci sono stati momenti di solitudine, è vero, ma vi ho sentito sempre vicino, e questo mi ha aiutato tanto. Grazie di cuore!

Nella foto mi trovo a New Delhi, in transito durante un viaggio durato sedici ore. Io non lo sapevo ma, a quanto pare, in India sono già famosa. Guardate, all’aeroporto mi hanno già dedicato una statua. Due gocce d’acqua, no? 

Ed adesso Italia, e questo vuol dire...famiglia!

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BKK by night

La Bangkok a luci rosse…finally! Ho aspettato l’ultima sera, ma alla fine ce l’ho fatta a scovarla. In realtà non è stato difficile, dalla fermata Nana mi è bastato percorrere la Sukhumvit e seguire le bancarelle per strada che vendevano vibratori, stimolanti, eccitanti etc. Mi hanno portato a ridosso della fermata Askok, nei pressi del complesso Little Italy (e te pareva!), da lì basta entrare nella Soi e, a distanza di duecento metri, imboccare a sinistra. Una marea di tuktuk e mototaxi all’ingresso mi hanno fatto capire che il fuoco era vicino, poi girato l’angolo…wow ! Luci psichedeliche, gigantografie, musica …un bordello!

La strada – rigorosamente pedonale - brulica di locali a destra e a sinistra, e sull’uscio ci sono queste ragazze, in bikini e tacco vertiginoso, che invitano ad entrare. Alcune si spingono proprio sulla strada, e “pescano” gli uomini che passano buttandoli dentro. Molte hanno un numero attaccato addosso, chissà a cosa servirà mai…


Pare che non per tutte sia un lavoro a tempo pieno, alcune lo fanno per “arrotondare”, e di giorno lavorano in banca o nei centri commerciali. Erano tutte molto belle e con fisico perfetto, ma in molte insegne dei locali c’era esplicitato che, all’interno, si potevano trovare anche “fat girls”…insomma, in vetrina si espone il meglio, ma ce ne è per tutti i gusti !


Ma non esiste solo prostituzione a Bangkok.
Sulla Sukhumvit, in prossimità con la fermata dello SkyTrain soprattutto, ho visto tante ragazze sedute a terra a chiedere l’elemosina. Ce ne era una in particolare a cui tutti si fermavano a dare qualcosa, quando mi sono avvicinata ho capito perché: teneva tra le braccia un neonato.

Mi sono chiesta quale possa essere peggiore come sensazione: stare per strada a mendicare, oppure vendere il proprio corpo. In quale caso ci si sente più sporche? E’ una bella gara…


Tra tutti i locali in particolare avevo sentito parlare del CowBoy, e poi dello Shark , lo squalo. Mi avevano detto che nello squalo i pavimenti sono tutti trasparenti, e la particolarità è che le donnine ballano senza indossare la biancheria intima. Insomma, alzi lo sguardo e …trovi il mondo.

Mi sono fatta coraggio e sono entrata nella bocca dello squalo. Era un locale molto stretto, al centro questo tavolo rettangolare (con vetro trasparente!) con i pali dove le ragazze vestite di bianco danzavano lap dance. Ai lati tutti seduti in piccoli divanetti a godere lo spettacolo. Mi sono seduta anche io, all’estremità del divano che ho trovato più vicino. Subito è venuta una tipa a chiedere se ero da sola, e cosa volevo ordinare. Ho tergiversato un po’, fingendo di non capire. Lei era scocciata. Vicino a me, c’era un ragazzo con una birra in mano, e tra le sue gambe una donnina che se lo strusciava. Poi un altro mi ha chiesto di fargli posto, mi sono alzata e gli ho ceduto il mio. Sono riuscita a fare alcune foto con il cellulare, dopodiché è arrivata la security dicendomi che era proibito fotografare, e mi hanno gentilmente accompagnato all’uscio.


Vabbè… che io non sia una tipa da locali a luci rosse credo che me lo si legga in faccia, se non altro però posso dire di non aver lasciato Bangkok senza averci provato!

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Muay Thai experience

A mezzogiorno in punto, quest’oggi, ero seduta nell’ufficio di GM Deycha , presso la sede Amarit Muay Warrior Institute, a venti chilometri da Bangkok. AMARIT in tailandese significa “Never Die”, e lo scopo di GM Deycha è quello di preservare la cultura del Muay Boran e Muay Thai, le arti del combattimento tailandese. 

Sono entrata in contatto con GM Deycha attraverso mio cognato Simone Rinaldi, che da un po’ di anni si è appassionato a questa disciplina, grazie a Kru Luca Magliocchetti .

Ero un po’ timorosa questa mattina, temevo l’impatto con il Grand Master, temevo figuracce a non finire. Ed invece lui si è dimostrato una persona molto umile, gentile ed aperta.
Mi ha raccontato la sua storia, come detiene la conoscenza di questa preziosa disciplina e, del fatto che non la insegna a chiunque, bensì a pochi eletti, di cui si fida ciecamente: “Perché alcune mosse possono diventare davvero pericolose, devo fidarmi al cento per cento dei miei studenti, devo sapere che uso ne faranno”. 

Mi ha raccontato di Luca, quello che oggi definisce il suo braccio destro. Si sono conosciuti sette anni fa. Ha dovuto penare molto Luca per ottenere la sua fiducia. Ma più GM Deycha lo respingeva, più Luca perseverava, e come si sa la perseveranza molto spesso premia. GM Deycha ha accettato di trasmettere il suo “sapere” e la sua “arte” a Luca, che oggi definisce uno della sua famiglia.
“Luca viene almeno due volte l’anno qui – mi ha detto – lui mi vorrebbe spesso in Italia a fare seminari, ma non posso, perché io ho paura dell’aereo!”. 
Mi fa sorridere l’idea di questo guerriero così saggio, così colto, che nella sua semplicità confessa il suo timore di volare. 

Poi mi ha portata al Lumpinee Stadium: “E’ come Wembley per gli inglesi, ogni tailandese sogna di calcare questo ring almeno una volta nella sua vita”, mi ha spiegato GM Deycha. Ed infatti gli spalti erano gremiti. 

Prima di iniziare il combattimento i guerrieri fanno una danza rituale, la Wai Kru Ram Muay, ognuno la esegue a modo suo, ed è davvero un qualcosa di suggestivo ed affascinante. Non ti aspetti tanta delicatezza da chi a breve inizierà a dare calci e pugni. E se ne danno di santa ragione.
Ho chiesto a GM Deycha se si facciano male a tal punto di finire in ospedale, mi ha risposto che a volte capita ed infatti, guarda caso, il match più importante da vedere, quello evidenziato in grassetto sul programma, si ferma al terzo round, perché calzoncini rossi ha rotto il braccio a calzoncini blu. Ed ecco che mentre quest’ultimo viene portato via in barella, l’altro esulta con tanto di collana di fiori per la vittoria.

Nel mentre, seduti dietro di me, c’erano tre italiani che commentavano ogni mossa. Due erano in vacanza, mentre il terzo viveva in Tailandia da ormai tredici anni: “Sono famoso qui – mi ha detto non appena mi ha stretto la mano – ho fatto un reality show, ho vinto un campionato ed ora insegno Muay Thai. Se vuoi possiamo fare un’intervista e ti racconto”.
Lì per lì gli ho risposto di sì, ma poi ci ho ripensato: siamo in Tailandia, la patria del Muay Thai e lo insegna un italiano dopo esser uscito da un reality? 
E’ come se in un ristorante a Napoli c’è un cuoco tailandese che vuole insegnare a fare la pizza!

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A Bangkok Dio esiste!

Domani è una settimana che sono a Bangkok, ed allora mi concedo il lusso di dare delle piccole.. dritte e consigli di viaggio!

Esperienze da provare nella capitale tailandese: un massaggio thai, un’ora di puro piacere che ti fa tornare come nuova alla modica cifra di 250 bath (poco più di sei euro)!

Esperienze da non provare, oppure provare e – se si sopravvive – non ripetere: prendere il mototaxi. 
Oggi volevo andare a Khao San Road, è la zona hippie della capitale tailandese, piena di bancarelle, negozi tipici e turisti. Non è collegata con la metro e così ho deciso di prendere il moto-taxi. “Visto il traffico almeno arriva prima”, mi sono detta.
C’erano cinque-sei mototassisti con tanto di giubbini catarifrangenti, mi sono messa a contrattare il prezzo e, l’offerta più appetitosa è stata quella di un driver un po’ avanti con l’età. “Bene così, sarà più prudente degli altri”, ho pensato.

Mi ha fatto mettere il casco, e subito dopo ho capito perché in nessuna guida turistica vengono citati i mototaxi: perché sai che parti, ma non sai se arrivi.
Slalom tra le macchine incolonnate ai semafori, strade contromano, salire sui marciapiedi evitando i pedoni per un soffio… non so in quanti momenti ho chiuso gli occhi pensando che era meglio non vedere come andava a finire.
Il culmine l’ho toccato quando il motorino si è spento nel mezzo della carreggiata, mentre cercavamo di fare zig zag tra le macchine, e nel momento esatto in cui scatta il verde. Panico totale. Vedo che il mio driver ha difficoltà a spostarsi, mi muovo come per scendere ma lui inferocito sbraita non so che. Pensavo che scendendo gli avrei alleggerito il compito ma mi attengo alle sue indicazioni, chiudo gli occhi, sento solo i clacson e, quando li riapro, siamo miracolosamente arrivati al bordo della strada. A questo punto mi fa scendere e mi metto sul marciapiede (che è altissimo), lui sta cinque minuti a spingere il pedale per far partire il motore, ma niente.
Così ferma un altro suo collega, gli dà la metà della cifra pattuita ed io rimonto in sella.
Anche questa seconda esperienza non va meglio, perché assisto ad uno scontro frontale tra un motorino e una macchina, e poi becchiamo un’altra moto a terra e la schiviamo per un soffio. Dopo ci immettiamo in una serie di viuzze strette e buie, ne usciamo e – finalmente – vedo che si ferma e spegne il motore. “Siamo arrivati!”, mi dice.
Lo ringrazio, metto i piedi a terra e mi faccio il segno della croce.
Sui Buddha non mi pronuncio, ma oggi so per certo che Dio esiste!

Nella foto i momenti salienti della mia giornata: prima quando rimango a piedi con il mototaxi; dopo quando decido di spostarmi su “acque” più sicure; a seguire il letto delle meraviglie e a chiudere la massaggiatrice dalle mani d’oro!

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¡Hola AYUTTHAYA !

Oggi ho dato le spalle al traffico e allo smog di Bangkok e mi sono concessa una gita fuori porta ad Ayutthaya, l’antica capitale del Siam, una novantina di chilometri verso nord. 
E’ un parco storico che conserva rovine di templi e alcuni Buddha sdraiati. Dal 1991 è patrimonio dell’umanità dell’Unesco.

Ero un po’ titubante questa mattina ad essere sinceri, perché l’idea di trascorrere un’altra giornata da sola a vedere Buddha mi intristiva. Ed invece ho fatto bene ad andare, perché arrivata sul posto (dopo un’ora e mezza su un pulmino) ho fatto amicizia con Sei LorMoon e Pablo Mig , due simpaticissimi ragazzi spagnoli, ed abbiamo trascorso la giornata insieme.

A dire il vero scesa dal minivan avevo chiesto a dei francesi se volevano affittare il TukTuk con me, così da dividere le spese, ma mi hanno risposto che preferivano andare a piedi… A piedi? 40 gradi all’ombra e distanze abissali tra i vari siti da vedere, contenti loro!

Poi ho sentito parlare spagnolo, mi sono girata e ho visto Pablo e Seila: la sintonia è stata immediata, in meno di dieci minuti avevamo già contrattato il prezzo per il TukTuk (meno di dieci euro a testa) ed eravamo pronti ad iniziare il nostro tour!

29 anni lei, avvocato. 32 anni lui, ingegnere meccanico: vengono da Vigo, nel cuore della Galizia. Per me è stato un tonfo al cuore: è proprio in Galizia che ho fatto la mia prima importante esperienza all’estero, correva l’anno 2005 quando come Erasmus arrivavo a Santiago de Compostela con una valigia piena di dubbi e paure, ed ecco che oggi mi sono ritrovata a ripensare a quei luoghi, e a rispolverare il mio spagnolo dopo così tanto tempo.

Selia e Pablo sono una coppia carinissima, sono arrivati ieri a Bangkok dopo aver vissuto una settimana tra giungla e fiumi nella Tailandia del sud, lo shock della metropoli è stato forte. Domani hanno già in mente una nuova meta. 

Il TukTuk ci portava da una parte all’altra della città, noi ci scambiavamo impressioni e contraddizioni sulla Tailandia e sui Tailandesi. Il tempo scorreva, ed io mi fermavo a riflettere su quanto fosse bello stare insieme, ridere, scherzare, raccontarsi, farsi foto… mi è mancato questo benessere nei giorni precedenti.

L’ultima tappa, il Wat Phu Khao Thong ci ha visto salire ottanta scalini sotto il sole cocente per giungere alla cima e vedere un Buddha (piccolo) e un panorama della città (mozzafiato!). Al momento di scendere però avevo paura, sarà stato il caldo e la stanchezza, non so, ma ho iniziato a soffrire di vertigini. Selia mi ha rassicurato e mi ha detto che non avevamo fretta, potevo prendermi tutto il tempo che volevo, mi ha tolto lo zaino e se lo è messo sulle spalle, così da facilitarmi ancor di più l’azione. Sono scesa, a fatica ma sono scesa, e se ce l’ho fatta è stato grazie a lei!

Quando abbiamo finito la visita, prima di andare a riprendere il pulmino ci siamo fatti portare ad un negozio di frutta. 
“I rambutan! Questi sono buonissimi li ho mangiati in Sri Lanka!” , ho detto loro, e ne hanno subito presi mezzo chilo. Gli ho fatto vedere come si aprono e si mangiano, e loro mi hanno istruito su come sbucciare dei frutti fatti a palline, piccole e gialle. 

Ed eccoci allora, tutti e tre, all’ultima fila del pulmino sulla via del rientro, schiacciati come sardine, a mangiare frutta mai vista prima! 

Le foto che vedete sono tutte opera della GoPro di Pablo, in quella in alto a sinistra ci troviamo al Wat Maha, dove la testa del Buddha spunta… tra i rami degli alberi!

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I “FARANG” della Tailandia

Quest’oggi ho raccolto un’intervista fuori dall’ordinario: un uomo che vive in Tailandia da quasi vent’anni, ma continua a sognare e a rimpiangere l’Italia.

E’ venuto prima per lavoro, poi in vacanza, dopodiché il divorzio , lo sbando e la decisione di riprendere in mano la sua vita da quest’altro angolo del mondo. 
Ci ha provato, si è fatto una nuova famiglia qui, ma i nodi sono venuti al pettine: le differenze culturali alla lunga hanno prevalso, il gap si è fatto più ampio, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno.
“Perché non torni in Italia?”, gli ho chiesto.
“Mio figlio è qui, come faccio ad abbandonarlo?”

“I tailandesi sono falsi con noi – ha aggiunto - gli stranieri vengono visti solo come bancomat”. 
Farang: è così che vengono chiamate le persone di “razza bianca” 

Ne scriverò, scriverò di lui e delle altre testimonianze raccolte in questi giorni. Ma il suo racconto non mi ha lasciato indifferente.

Le storie delle migrazioni hanno sempre una veste malinconica, è vero, ma quando vengono innescate da una “bravata” beh…penso che il boccone sia duro da mandare giù.

Per il resto quest’oggi mi sono data al turismo, muovendomi lungo il fiume Chao-phraya con dei battelli che funzionano a mo’ di metropolitana e ti fanno raggiungere varie mete turistiche.

Nella foto sono al Wat Pho, con il Buddha Dormiente: una delle icone della città, il più antico tempio di Bangkok ed il più grande della Thailandia con i suoi 43 metri di lunghezza e 15 metri di altezza.
Una cosa da niente, no? 

E’ grande Bangkok, pullula di vita, parliamo di una metropoli di oltre sedici milioni di abitanti, eppure quest’oggi in più momenti mi è sembrata vuota.

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Strisciando sulla Sukhumvit

Di notte Bangkok si trasforma, fuori dai locali ragazze tacco 12 e vestite di tutto punto attendono gambe accavallate l’animarsi della serata. La Tailandia è il paese della perversione, giusto? Vetri oscurati impediscono di vedere ciò che succede all’interno, soltanto alcuni saloni dove si fanno i massaggi consentono la visuale: file di poltrone inclinate mostrano uomini di tutte le nazionalità, un drink sul tavolino accanto alla poltrona, e ai piedi le donne intente a massaggiare. 

Ma non sono solo le donnine ad animare la notte tailandese. Un consiglio: indossare le scarpe chiuse di notte. Perché i marciapiedi pullulano di orrende cimici giganti, dal colore tra il giallo e l’arancione. Se sei fortunato le schiacci, ma altrimenti rischi di trovartele sul piede, e non è una bella sensazione. Mi hanno detto che ci sono anche molti topi, ma io ancora non ne ho beccati.
Questa sera però ho visto qualcosa di peggio. Camminavo sulla Sukhumvit perché volevo mangiare qualcosa, quando mi sono dovuta fermare bruscamente: davanti a me, a terra, c’era un uomo, allungato. Credevo che stesse male, magari era ubriaco, drogato o che ne so io. Ma poi mi son resa conto che non aveva le gambe, avanzava dandosi la spinta con il corpo e le braccia. Le mani erano protese in avanti, e spingevano un barattolo con qualche spicciolo. 
Ho guardato a destra e a sinistra ma nessuno sembrava curarsi di lui, le persone camminavano come se nulla fosse.
Ho deglutito e l’ho superato anche io. Dopo un centinaio di metri, nello stesso isolato, di nuovo, la stessa, identica scena. Un altro uomo a terra privo di arti inferiori che strisciava sulla strada.
Ma che razza di processione è? Quanta barbarie può esserci nel mondo? Perché?

Non ho avuto il coraggio di andare oltre, mi sono fermata e sono tornata indietro, all’ostello, senza mangiare nulla. Mi si era chiuso lo stomaco. 

Nella foto un particolare di questo pomeriggio. Ero andata a visitare il quartiere di ChinaTown, quando è scoppiato un violento acquazzone. Mi sono riparata sotto un tendone, e ci sono rimasta più di mezz’ora. Ad un certo punto da un autobus scendono sette ragazzi e saltano il marciapiede per venire a trovare riparo. Hanno un forte accento british, si scattano un po’ di selfie e poi, due di loro, si tolgono la maglia, vanno sul ciglio della strada e si mettono ad improvvisare una sorta di danza della pioggia, tra gli sguardi attoniti dei cinesi/tailandesi . Insomma, Bangkok sarà pure il regno della perversione, ma quanto a stupidità noi occidentali siamo maestri!

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Il coccodrillo bianco

Oggi sono andata al Samutprakarn Crocodile Farm, un parco situato dieci chilometri a sud di Bangkok dove ci sono oltre mille coccodrilli. Non fa parte della top ten dei luoghi da vedere nella capitale tailandese, ed anche su tripadvisor i pareri sul suo conto sono molto discordanti. Ma ci tenevo a visitarlo, perché una ventina di anni fa c’era stato mio padre, durante un suo viaggio alla scoperta della Tailandia. Ho sentito spesso parlare di questo luogo nei suoi racconti, ecco perché non potevo mancare. E’ come se in questo modo io ripercorra le sue orme, e mi piace questa sensazione.

Il parco non è molto grande, ed oltre ai coccodrilli c’è un piccolo zoo con tanto di elefanti, pappagalli, scimmie etc. 
Ho vissuto anche un momento concitato: dopo pranzo infatti una signora si è sentita male ed è caduta a terra, ho sentito le urla e mi sono avvicinata subito, riprendendo la scena. Due ragazzi l'hanno soccorsa, un’altra è arrivata con la bombola d’ossigeno, per un attimo ho temuto il peggio perché questa non si riprendeva, e tutti strillavano. Poi le hanno fatto un massaggio cardiaco, ed è rinvenuta. Tutto bene quel che finisce bene. 
Per il resto beh.. mi sono innamorata delle scimmie, è sorprendente quanto siano umane! E’ banale dirlo, ma non avevo mai avuto incontri così ravvicinati, le ho osservate per quasi un’ora, ho toccato le loro mani e sono identiche alle nostre al tatto, forse la pelle è un po’ ruvida. Ad ogni modo sono davvero dolcissime!

Non posso dire lo stesso dei coccodrilli. Era la prima volta che li vedevo, diciamo che ci penserei due volte prima di accarezzarne uno, sono abbastanza viscidi. Poi mi ha fatto male assistere allo show, e vedere i domatori come li trattano, come li maltrattano. Le persone dagli spalti incitavano e buttavano soldi in acqua. Loro li raccoglievano e, al termine dello spettacolo, hanno racimolato un bel gruzzoletto. 

Ad ogni modo è stato importante per me vedere i coccodrilli.
Lamin, un ragazzo del Gambia (in Italia da quasi un anno con la speranza di ottenere lo status di rifugiato), durante i suoi racconti sull’Africa mi ha parlato spesso di questi rettili.
C’è un grande parco, in Gambia, dove ci sono migliaia e migliaia di coccodrilli, ed i turisti arrivano da tutto il mondo per visitarlo. E mi ha raccontato la leggenda del coccodrillo bianco. 
“E’ un coccodrillo che si aggira per il parco, ma è sempre nascosto. In quelle rare occasioni in cui appare però, la persona che lo vede è fortunata, la sua vita cambierà, perché è una predestinata. Vengono turisti da tutto il mondo, in Gambia, sperando di riuscire a vedere il coccodrillo bianco”.

Ieri ho sentito Lamin, annunciandogli appunto che quest’oggi sarei andata al Crocodile Farm. “Preparati un desiderio da esprimere qualora dovessi vedere il coccodrillo bianco – mi ha detto al telefono – gli puoi chiedere di tutto, anche di diventare Presidente!”.
Io presidente della Tailandia? Impossibile, c’è la monarchia qui! 
Io presidente d’Italia? Peggio mi sento!

Non l’ho visto il coccodrillo bianco quest’oggi, ma il desiderio l’avevo preparato, è qui, pronto per essere espresso. Non riguarda me, ma la realtà che ci circonda, ed è molto semplice: vorrei costruire ponti ed abbattere i muri che ci circondano.

Forse il coccodrillo bianco esiste davvero, ma si palesa solo in Gambia, non in Tailandia. Magari è un coccodrillo bianco 2.0 , che ha accesso ai social network e che scruta e legge tutto.

Ed allora ne approfitto e lancio un appello: caro coccodrillo bianco io prometto che verrò a cercarti, in Gambia, un giorno, ma tu potresti iniziare ad avverare il mio desiderio già da ora? 

Nella foto mi vedete alle prese con elefanti, pappagalli, e con un’invitante carbonara! Loro sono Sasà (91 anni!) e Chef Alessandro Colangeli, li ho conosciuti questa sera alla trattoria “Da Luigi” sulla Sukhumvit Rd. Ed il mio progetto sulla comunità internazionale trapiantata a Bangkok procede a gonfie vele!

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Alla scoperta di Bangkok

Prima giornata ufficiale in Tailandia! Sono uscita tardi perché ho contrattato il cambio di capsula , ieri infatti mi hanno messa a quella in alto, e sono scesa penso una ventina di volte tra prendere il Pc, poi l'hard disk, poi il carica, etc. Ho detto alla tipa alla reception che me ne andavo, ma se mi metteva in basso rimanevo due giorni in più . Affare fatto !

L’ostello si trova in una traversa di Sukhumvit, è la parte nuova di Bangkok , piena di grattacieli e centri commerciali. Ci abitano la maggior parte degli stranieri che vivono qui, anche perché la strada è servita da una metro veloce, la BTS . Mi è sembrato interessante questo aspetto, vedere come gli stranieri sono integrati qui. Le metropoli in fondo si somigliano tutte, è vero, ma da quello che ho visto Bangkok ha una doppia faccia.

Tra le file di grattacieli infatti spesso ci sono delle vie con dei palazzi vecchi e diroccati. Un forte contrasto che non passa inosservato quando si va su e giù con la metro. Ma del resto anche questa mattina, quando sono uscita, ho avuto la stessa sensazione: nella strada dove sto io ci sono palazzi di massimo quattro piani, vecchi e malconci. Non puoi camminare sul marciapiede perché è occupato da bancarelle che cucinano (friggono o sulla griglia), a tutte le ore. Arrivata alla fine della strada poi... uau! Che differenza! Grattacieli, Starbucks a gogo , parchi, centri commerciali, stradone a tre corsie per carreggiata , e marciapiedi dove ti puoi anche sdraiare per terra . Giri l'angolo e ti cambia tutto, che spettacolo, che potere!

Oggi ho preso la metro e sono andata fino a MoChit , perché nel weekend c'è il Chatuchak Market , il mercato più grande di tutta Bangkok.

Come dice Dinusha , del resto, “ Il luogo dove si vede la quotidianità di un popolo sono i mercati”. Quale miglior modo, allora , per iniziare la mia conoscenza con Bangkok ?

È vero che è immenso, te ne rendi conto anche quando ci passi sopra con la metro. Vendono di tutto, da abbigliamento a souvenir, elettronica, arredi per la casa, ma il pezzo forte è sicuramente il cibo ! Mi fermavo ovunque a prendere qualcosa, nell'ordine ho provato latte di cocco, banana fritte, gelato di cocco, smoothie all'ananas, e per pranzo un riso che sembrava fatto con gli scampi (ne dubito, ma era davvero buono!).

C'era più di qualche ragazzo cieco, camminava con il bastone e cantava. Di tanto in tanto qualche passante lo prendeva e lo riportava vicino al marciapiede, visto che al centro a volte passavano le macchine.
Era caldo oggi, e temo di iniziare ad accusare anche la stanchezza delle due settimane (e un giorno!) di viaggio, mi sentivo molto debole ad un certo punto, e così ho deciso di rientrare all’ostello, una breve sosta per ricaricare le pile, e ripartire poi con il fresco! 

La mia destinazione del tardo pomeriggio era il Chao-Phraya , 
Il fiume che attraversa Bangkok. Molti lo considerano il centro pulsante della città. Non avevo le idee ben chiare di dove andare e di cosa fare, sapevo solo il nome della fermata della metro più vicina. Così sono arrivata a Saphan Taksin e da lì ho semplicemente seguito il fiume di persone, ritrovandomi in men che non si dica in fila per il battello.
Abbiamo aspettato forse una mezz'oretta, ma ne è valsa la pena! Io sono stata una delle ultime a salire a bordo, il tipo continuava a dire di andare avanti, in modo da far salire più gente, ma io facevo finta di non capire e son rimasta ferma sugli scalini iniziali, ne ho conquistati due e così quando siamo partiti mi sono anche potuta sedere. E’ stato emozionante il giro sul battello, più camminavamo e più io sentivo una carica di energia, dovuta forse allo scenario che avevo davanti. Il tramonto rende magico ogni luogo, è vero, ma il contrasto tra i grattacieli, i battelli old style e qualche peschereccio era davvero unico.
Ho visto anche il Buddha Sdraiato!

Il battello ci ha portato ad Asiatique, un turbinio di luci e di musiche, c’erano bancarelle, negozietti vari, ristoranti, e anche le giostre e la ruota panoramica. Ci ho trascorso un’oretta (passeggiando sulla via antistante), poi ha iniziato a piovere e così mi sono messa in fila per riprendere il battello.

Nella foto il simpatico omino (o è donna?) che mi ha accolto all’ingresso di Asiatique, e poi una "veduta ampia" di quel che è stata la mia cena!

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In una capsula a Bangkok

Una cosa non rimpiangerò di Kuala Lumpur: le persone con le quali ho condiviso il loft, visto che praticamente non abbiamo avuto mai a che fare. 
Ho provato una forte antipatia per il tizio che dormiva sopra a me nel letto a castello. “Di giorno dorme, è da un po’ che è qui da noi”, mi ha detto il padrone il giorno che mi ha dato le chiavi. Ed è vero, posso confermarlo: se rientravo verso le 2 o le 4 lo trovavo a dormire, poi la sera si piazzava con il pc sul tavolo, e rideva. Ha passato tutte le notti al pc a ridere e a cucinare nelle ore più improbabili. A me non ha rivolto parola, alle altre due neppure, ma ride tutto il tempo davanti al pc, è normale? Non so di che nazionalità sia, è asiatico comunque.
Poi c’era una cinese che…vabbè, faceva la cinese appunto, usciva la mattina alle 8, rientrava la sera dopo le 10, si lavava i vestiti, si metteva tremila creme e si preparava il tour dell’indomani. Tutto questo senza guardare in faccia nessuno.
E poi la terza, una ragazza di origini metà canadesi metà portoghesi. Con lei qualche parola l’ho scambiata, e questa mattina abbiamo fatto colazione insieme. Mi ha detto che voleva andare sulla KL Tower, le ho spiegato che la metro non ci arrivava fin lì, l’unico mezzo era il bus turistico. Le ho detto che le potevo dare il mio biglietto, tanto non lo avrei usato visto che andavo via. Mi ha ringraziato e se lo è preso. Poi mentre ero in bagno ho sentito che è uscita, capito che cafona? Neanche mi ha salutato, sapeva che stavo ripartendo, glielo avevo detto ed aveva visto la valigia. Non so neanche i nomi di questi tipi, non è una gran perdita in fondo. E’ triste però pensare che siamo stati tre giorni insieme senza conoscerci.

Ho fatto il check out dal Mercu Summer Suites prima dell’orario stabilito, perché alle 10 in punto ero alle Patronas Twin Towers, pronta per la mia visita ufficiale! 
Alla hall ho trovato ad attendermi Imanizah, l’ufficio stampa delle Patronas. E’ una ragazza sorridente e molto solare, sa fare bene il suo mestiere diciamo. Mi ha fatto tante domande mirate nel corso della visita, e più volte si è raccomandata di inviarle l’articolo una volta pubblicato. E’ stato bello salire passeggiare sulla passarella al 46 piano, con la consapevolezza di essere sospesi. E poi salire su, fino all’86. Una delle due torri è adibita soltanto ad uffici, l’altra invece ha anche due piani ai quali è possibile l’accesso ai turisti.

Patronas è il settimo grattacielo al mondo (al primo posto Dubai ovviamente!) e tutti gli altri sono in Asia, tra Cina e l’Arabia Saudita. 
Accanto alle Twin Towers ora stanno costruendo un altro grattacielo di 78 piani, sarà pronto l’anno prossimo, al momento c’è solo un cantiere. Mi sorprende il dinamismo e la velocità con la quale in questi paesi si erigono palazzoni, e mi fa sorridere se penso all’Italia, e alla sua serie infinita di cantieri interrotti e di opere incompiute.
Mi spiegava Imanizah che in Malesia è molto facile tirare su grattacieli, perché è un paese in cui non c’è rischio sismico e non è mai stato colpito da catastrofi naturali. “In Malesia avete solo incidenti aerei”, ho ribattuto io sorridendo, ma non le è piaciuta la mia risposta e ha subito cambiato discorso. 

Dopo sono andata in stazione e da lì ho preso l’autobus fino all’aeroporto. Klia2 è un aeroporto molto grande, ci ho passato tre ore e sono passate subito. Poco dopo le 17 il mio volo Air Asia (rigorosamente low cost) è partito in direzione Bangkok.
La Tailandia: eccola qui la mia ultima tappa di questo viaggio.

Il volo è stato pieno di turbolenze, e ho pensato persino che Imanizah mi abbia fatto gli scongiuri! Ma sono arrivata sana e salva
:) 

Ennesima fila interminabile al controllo passaporti, e poi ho dato il meglio di me! Ho rifiutato il taxi e ho deciso di arrivare all’ostello con le mie forze. Prima ho preso l’autobus dall’aeroporto alla metro, poi la metro per una decina di fermate, e poi alla fine…TukTuk! Non ho resistito al fascino dell’apetta (è molto più ricercata e rifinita di quella dello Sri Lanka), ho caricato valigia e zaino in un batter d’occhio, dopo aver contrattato il prezzo ad un terzo della cifra chiesta all’inizio. 
Alle 21 circa sono arrivata all’ostello Matchbox Bangkok Hostel , la sua originalità sta nel fatto che è costituito da …capsule! Io sto nel dormitorio femminile, siamo in 8 ma è come se fossi sola visto che ognuna è nel suo box formato da un letto a una piazza e mezza, una tv lcd e cassaforte. Insomma, qui la privacy è salvaguardata, spero però di riuscire a trovare gente un po’ più aperta questa volta!

Nella foto un momento di svago durante la visita di stamane, mentre cercavo di controllare le Patronas versione 3d con il codice QR del mio biglietto. Eh sì, i Pokemon mi fanno un baffo!

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In posa con il ministro

Se c’è qualcuno che a Kuala Lumpur non ha valore, è il pedone. E’ allucinante, agli incroci puoi stare anche mezzora ferma ad aspettare, perché anche quando al semaforo l’omino diventa verde (e questo ti darebbe il diritto ad attraversare), c’è sempre qualche flusso di macchine che ti taglia la strada. Ieri sera, mentre rientravo ed ero ferma in questa condizione, una coppia di signori arriva e mi affianca, lei è a braccetto di lui. Dopo poco iniziano ad attraversare, e d’improvviso lei mi prende per il braccio e mi spinge con loro! “You must be brave!”, ha esclamato quando siamo arrivati sull’altro marciapiede! Cara signora, anche oggi io ci ho provato a “To Be Brave”, ma mica è facile eh! Diciamo che la strategia che adotto è quella di accodarmi sempre a qualcuno, così se non altro viene investito per primo!
Oggi pomeriggio un acquazzone improvviso mi ha portato a rivedere i miei piani. Ho fatto comunque in tempo a fare un bagno in piscina (primo appuntamento della giornata!), quindi mi sono diretta a Piazza Merdeka. “Merdeka” significa “indipendenza” in malese, e segna appunto la fine dell’epoca coloniale. Ci sono tantissime bandiere nella piazza, ma quella che colpisce è un’asta alta 100 metri (si dice sia una delle più alte del mondo), nel quale sventola orgogliosamente la bandiera malese. Fa davvero effetto, è come se si percepisse il senso della nazione in quella piazza. Poi ho visitato la cattedrale, il palazzo del governatore (al quale ovviamente non mi hanno fatto entrare), una moschea (anche quella guardata da fuori), e poi visita al Bazar, dove ho comprato un monopod 2.0, valido sia per la macchina fotografica che per il cell (tipo asta da selfie)… vediamo quanto durerà! 

Poi la pioggia ha iniziato a tenere testa, e così ho deciso di prendere un taxi per riavvicinarmi. Fermo un taxi e salgo. Faccio vedere al tassista l’indirizzo del grattacielo, ma lui scuote la testa. “Non so tutti i grattacieli a memoria”, mi risponde. Gli faccio notare anche il nome della strada: “Non ho il GPS”, ribatte lui. Andiamo bene!
Mi viene in mente che ieri ero passata davanti al MATIC (Malaysia Tourism Centre) e stavano allestendo tutto il giardino, e mi avevano detto che quest’oggi ci sarebbe stata una grande festa. Così gli chiedo se conosce almeno il MATIC e mi dice di sì. Ringraziamo il cielo!

Arrivo e c’erano tantissime persone nonostante la pioggia, e molto molto cibo! 
Ho mangiato tanto ben di Dio tra zuppe, riso e dolci. Volevo fare delle foto, mi continuavo a ripetere che era una bella situazione da riprendere, ma avevo le mani occupate: con una reggevo il bicchiere sopra al quale avevo posizionato il piatto (in una perfetta situazione di equilibrio), e con l’altra mangiavo. Insomma, difficile pensare ad altre azioni avventate!
Quando lo stomaco era soddisfatto, ho tirato fuori la macchina fotografica, e mi son messa a catturare volti! Avevo già coperto tutte le bancarelle, ero sulla strada dell’uscita, quando mi vengono a chiamare una ragazza e un ragazzo: “Are you a photographer?” , mi chiedono. Rispondo di sì senza riflettere più di tanto. 
Mi chiedono se ho fretta o se posso aspettare altri venti minuti, perché sta venendo un ministro e vorrebbero che io lo fotografassi. La situazione mi sembra alquanto surreale, ma questa ragazza avanza con le domande: 
“Where are you from?”
“Italy”
“Why are you here?”
“Holiday”
“Are you alone?”
“Yes!”
“Oh really? Are you arrived alone in Malaysia? You are so brave!” 
(Avrei voluto risponderle che non sono abbastanza coraggiosa per attraversare la strada qui, ma ho tralasciato…)
“How do you say Thanks in italian?”
“Grazie”
“Oh Grazie!”
Nel mentre mi ha già fatto attraversare tutte le bancarelle, e siamo entrate in una stanza adornata di ogni cosa e pullulante di persone. C’erano dei piccoli divanetti al centro ed una marea di videocamere e fotocamere. 
“Il Ministro del Turismo sta facendo una piccola conferenza stampa ora, appena finisce entri in azione tu”, mi dice.
Io continuo a non capire: ma che devo fare? Devo fotografare il Ministro? Con tutti questi fotografi che ci sono perché questa tizia è venuta a chiamare proprio me? 
Non posso chiederle niente però perché è svanita, non so dove sia andata a finire. Rimango lì ad assistere a questa conferenza sui generis, mi annoio quasi subito e mi siedo su un divano. Dopo un po’ il corteo si muove verso l’ingresso, la tipa spunta di nuovo da dietro e mi urla in un orecchio: “Let’s go let’s go!”
Io la seguo, e mi fa sorpassare in malo modo molta gente. Raggiungiamo il Ministro, che è all’ingresso con lo staff per la foto di rito. Immagino che sia quello il mio compito, e così mi avvicino e scatto. Ci sono tanti altri fotografi ovviamente ad immortalare la scena, ma lui mi vede e viene verso di me: “Oh, where are you from?” mi chiede.
Rispondo che sono italiana, lui mi stringe la mano e mi spiega che questa festa è una sorta di nostro Natale, dura un giorno ma raccoglie tantissima gente per mangiare in compagnia. 
Mi chiede se ho provato il cibo, e rispondo di sì e che l’ho trovato squisito. Sorride, e mi ristringe di nuovo la mano.
E’ a questo punto che la tizia entra in azione: “Vuoi la foto con il Ministro? Dammi la macchina che te la faccio!”, esclama. 
Io sempre più basita non rispondo, ma lei mi ha già preso la macchina dal collo e si è messa in posizione per scattare. Anche gli altri fotografi si avvicinano ed ecco che vengo colpita da flash da tutti gli angoli.  
Finalmente il Ministro mi “libera”, e prosegue con il suo corteo, io cerco di tornare in possesso della mia macchinetta.
La tipa è tutta sorridente, e mi abbraccia: “Grazie mille – mi dice– sai, eri l’unica straniera qui in mezzo, è stato bello che il Ministro ti abbia visto!”.

Cosa aggiungere di più?

Vi presento Datuk Seri Mohamed Nazri Abdul Aziz, Ministro del Turismo e della Cultura della Malesia, qui in posa con la sottoscritta!

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Kuala Lumpur: cena in pole position

Alle 7.30 di mattina, con più di un’ora di ritardo, il mio volo atterra a Kuala Lumpur. 

Certo che viaggiare in notturna è pesante. E’ vero che ci si guadagna in tempi, ma all’arrivo si è sempre ko. Il momento più brutto è quello del controllo passaporti, perché è infinito. Stai in coda più di mezzora, in completo dormiveglia. Poi, ottenuto il fantomatico timbro d’accesso, ecco la corsa a ritirare i bagagli. Sono andata al rullo sbagliato, nel senso che la provenienza era sempre Colombo, ma una compagnia diversa. Quando ho capito l’errore (visto che per dieci minuti ho aspettato lì in completa solitudine ….) è iniziata una corsa ancora più veloce verso il rullo giusto, ed ecco che era rimasta la mia valigia che girava sul nastro in totale solitudine! Sospiro di sollievo!
Dopo inizia l’avventura per andare a prendere il bus, una tipa mi dà informazioni e mi ritrovo in un’area piena di limousine. E certo, perché non affittare una limousine di prima mattina? 
Il bus al contrario costa appena10 ringgit, poco più di due euro, ed il tragitto per arrivare in città dura oltre un’ora.  
Dalla stazione centrale prendo un taxi, ed anche lì l’ennesima scoperta: perché il tassista mi dice che devo comprare il biglietto in stazione. Il mio cervello fatica sempre di più a carburare: ma se prendo il taxi a che mi serve il biglietto? Ed invece è così: in stazione acquisto un biglietto da 18 riggit (4 euro), e il tassista può portarmi dove voglio. Hai capito questi malesi? Mica male!

Arrivo al Mercu Summer Suites intorno alle 11. L’ho trovato su AirB&B, 10 euro a notte, mi aveva colpito la piscina faraonica delle foto, e ho prenotato di botto, senza leggere nulla. Arrivata lì ho capito che non si trattava di un appartamento, ma di una sorta di loft con sei letti, maschi e femmine! Effettivamente il prezzo era un po’ troppo irrisorio, per una location del genere... E’ vicino alle PETRONAS Twin Towers, i grattacieli più alti di Kuala Lumpur, il loft è al 33esimo piano, la piscina all’11esimo, tutto lusso! Li per lì mi sono detta che non era poi male avere una stanza condivisa, avrei potuto fare amicizia e visitare la città in compagnia, non avevo fatto i conti però con i reali condomini: ognuno si fa i fatti suoi, neanche la curiosità di chiedermi come mi chiamo, e vabbè, amen!

La scoperta di Kuala Lumpur è iniziata, allora, in modo easy. Prima ho dormito un paio d’ore, poi sono andata ad inaugurare la piscina, l’acqua era fredda e questo ha fatto sì che mi riprendessi alla grande! 
Verso le 5, è iniziato il mio primo tour. Arrivare alle Petronas non è stato difficile, è bastato uscire dal dedalo dei palazzoni e raggiungere l’arteria principale, alzare gli occhi al cielo, vederle svettare in tutta la loro maestosità e seguirle. Sono torri gemelle ed hanno 88 piani, per anni sono stati i grattacieli più alti di tutta l’Asia, ma poi è arrivato il Burj Khalifa di Dubai a superarle. Beh che dire…un selfie era immancabile!

Ho girato un po’ anche il centro commerciale al suo interno, una marea di piani e di settori, ho resistito meno di mezz’ora!
Così mi sono diretta alla metro per andare a visitare la ChinaTown. La metro era pienissima, ho dovuto aspettare tre corse per poter entrare. Vicino a ChinaTown c’è il Central Market, e sono due aree molto caratteristiche, dove riesci a percepire un po’ la storia di questa città, ad entrare a contatto con la sua gente, a capirne le abitudini. ChinaTown in particolare era tempestata con tutte lanterne rosse, che di notte facevano un bellissimo effetto. Mentre passeggiavo ho iniziato a sentire un certo languorino nello stomaco, mi sono fermata al primo posto per mangiare trovato tra le bancarelle, e il tizio mi ha apparecchiato subito il tavolino più esterno, stavo quasi in mezzo alla strada! Credo che mi abbia piazzato lì per essere da richiamo ad altri turisti. Ed il piano è andato a buon fine: quando io stavo per finire sono arrivati un gruppo di sei tedeschi, ed anche a loro è toccata la tavola in pole position!

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Arrivederci Sri Lanka

Ti saluto Sri Lanka. E già, ultimo giorno, che conclude ufficialmente la seconda tappa del mio viaggio. A volte penso che sarebbe tutto più facile se ci fossero solo gli arrivi, senza alcuna partenza. Perché certe partenze ti lasciano il vuoto dentro. Ma non è un vuoto in realtà, è soltanto una sensazione apparente. E più si manifesta, maggiore è il bagaglio che ti porti dentro.
Ed io parto bella carica dallo Sri Lanka. Ripenso al giorno del mio arrivo, a quell’aeroporto che mi sembrava su di giri, al caos di Colombo, e a tutte le persone che, giorno dopo giorno, ho incrociato nel mio percorso. Mi hanno aiutato tanto, mi hanno insegnato molto.
E poi penso a questa straordinaria coppia di genitori, al loro cuore grande. Non è semplice stare dietro agli ospiti, ed io poi gli ho dato un gran da fare, con tutte le richieste quotidiane che avanzavo. Diffidate dagli stranieri, state alla larga dai giornalisti, mi verrebbe di consigliargli, con il sennò del poi. Ma so che non prenderanno minimamente in considerazione il mio monito.
I tremila appuntamenti da fissare, telefonate per prenotare il TukTuk a tutte le ore, chiamate ad amici di amici di amici, pur di farmi trovare quello che cercavo. Discussioni, contrattazioni, appuntamenti saltati, incontri tenacemente voluti. E poi questa casa, punto di approdo sicuro. Non mi sono sentita ospite a Villa Daisy B&B, perché i genitori di Dinusha mi hanno accolto a braccia aperte. Ed è bello ogni sera tornare in un posto che senti “casa”. La tavola imbandita con ogni ben di Dio, sempre a disposizione delle mie esigenze: “Lunch? Dinner?”, mi diceva in continuazione il papà di Dinusha, e poco importa se l’orario dei pasti era passato da tempo. Anche quest’oggi, di buon mattino, sono andati in un paese qui vicino, perché Daisy ci teneva a cucinarmi dei gamberoni , e sono andati a prenderli al mercato del pesce.
Resteranno indelebili nella mia mente i frutti di questa terra, gli odori, i sapori così genuini. Credo di aver mangiato ogni giorno almeno sei tipi di frutti diversi, per non parlare delle verdure, degli ortaggi, del pesce. Nella foto ve ne mostro uno, il rambutan, è dolcissimo ed è tipico di queste zone….ne ho mangiati tantissimi!
Questa mattina mi sono fatta portare di nuovo alla spiaggia di Negombo. Là dove tutto è iniziato, non ho potuto fare a meno di immortalare l’abbraccio tra questi due amanti, perché sì, forse non ve l’ho detto, ma secondo me lo Sri Lanka è anche un posto molto romantico.
Ci tengo di nuovo, pubblicamente, a ringraziare Dinusha I go to Sri Lanka Operatore Turistico. E’ nato tutto per caso: io che su facebook chiedo contatti , Sara mi risponde e mi fa il suo nome. Ci scriviamo quasi subito, Dinusha è di Verona. Coincidenza vuole che io mi trovi a Verona in quel momento, trascorrendo un weekend con i miei. Ci incontriamo alla stazione l’indomani, una chiacchiera tira l’altra, e quel semplice: “Non preoccuparti, ti do una mano io”, pronunciato da Dinusha, si è trasformato in tutto questo. Grazie di cuore!
Ed ora è tempo di rimettersi in marcia: prossima tappa? Malesia!

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Per Elisa on the road

Alle 9 in punto questa mattina, quando ero pronta per andare a fare colazione, è andata via la corrente, e con essa ventilatore e wi-fi. Il papà di Dinusha mi ha detto che a volte la domenica succede, e di solito torna il pomeriggio prima delle 17. Anche il Mac mi stava abbandonando, aveva il 9% di carica. Poco male, mi sono detta, e ne ho approfittato per un po’ di extra sonno che, in vista dei prossimi giorni, non fa affatto male.
Mentre riposavo, risuonava nell’aria la musica di Per Elisa. Non è la prima volta che la sentivo a dire il vero, questa nenia mi ha accompagnato anche il giorno del mio arrivo. Avevo pensato che ci fosse una ragazza con il suo bel pianoforte, non distante da qui. Magari era proprio in una delle case qui intorno, la finestra era aperta ed ecco perché il suono arrivava fino a me. “Non puoi vederla per via della folta vegetazione - mi dicevo - ma sicuro è poco lontano”. 
Poi ieri , mentre ero a fare il reportage a una decina di chilometri da qui, ecco di nuovo quella musica. Ho guardato Ravindu sorpresa, dicendogli che anche a Villa Daisy B&B suonavano Per Elisa. Lui ha iniziato a ridere come un pazzo: “Ma è il Tuk Tuk che vende i gelati - mi ha risposto - fa il giro di tutto il quartiere!”. Ecco svelato l’arcano mistero!

Vabbè, torniamo a noi! Vi presento Ranjane, è la vicina di casa dei genitori di Dinusha. E’ arrivata all’ora di pranzo, mentre io stavo già mangiando, è andata in cucina e ne è uscita con il piatto pieno. L’ho invitata a sedersi al tavolo, ma ha preferito le sedie vicino al muro, però mi scrutava con la coda dell’occhio. E’ arrivata Daisy e si sono messe a chiacchierare un po’, ho capito che era la figlia dei loro vicini di casa. Non ho idea se sia stata invitata a pranzo, o se semplicemente si è presentata ma, l’impressione che ho avuto in questi giorni, è che qui sono tutti ospitali, e un posto a tavola non si nega a nessuno!
Dopo siamo rimaste da sole, c’è stato un lungo momento di silenzio e poi, finalmente, mi sono decisa a farle una domanda in inglese. Lei mi ha risposto, è venuta a sedersi al tavolo ed abbiamo iniziato a chiacchierare, non so perché ma ero convinta a priori che non mi capisse, ed invece parlava un inglese perfetto! Ha 26 anni, e tutte le mattine va a Colombo a lavorare in un ufficio. Mi ha detto che preferisce andare in treno perché l’autobus è sempre un terno a lotto, e non sai quanto tempo ci metti. Le ho detto che l’ho sperimentato sulla mia pelle quattro giorni fa, all’andata un’ora scarsa, al ritorno ci avrò messo più di due ore, e me lo ricordo come un viaggio infinito!

Eravamo arrivate alla frutta, nel senso che io stavo mangiando il cocomero, quando ecco d’improvviso la musica di Per Elisa. Io mi metto a ridere e spiego a Ranjane il motivo, dopo poco torna Daisy (che era uscita senza che me ne fossi accorta), con due ghiaccioli fragola e limone! La marca era Elephant House, ed è come la nostra Algida, ma da noi il servizio è sicuramente meno….melodico!

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L'Ultima Cena su una parete gialla

Questa mattina mi ha svegliato il rumore del vento. Sono andata sul balcone di Villa Daisy B&B, e sono rimasta a guardare il verde che mi circonda. Ad incantarmi in questo scenario paradisiaco sono le palme di cocco, ce ne sono tre tipi, quello giallo, quello verde e quello normale che conosciamo anche noi. Ma sono alberi altissimi, devi mettere il naso all’insù se vuoi vederne la cima. 
Ieri ho chiesto a Suneth come si fa a raccogliere i frutti, perché ad aspettare che cadono soli stanno freschi, e soprattutto se malauguratamente ci capiti sotto e ti colpisce beh…rimani secco. Mi ha spiegato che è un lavoro tradizionale, ci sono degli uomini, per lo più giovani e poveri, che per sopravvivere si arrampicano e raccolgono le noci di cocco. Non solo è pericoloso, soprattutto quando c’è il vento e la persona “appesa” inizia a dondolare sulla cima, ma è anche malpagato. Per riuscire a mettere da parte qualcosa questi ragazzi cercano di arrampicarsi ogni giorno su 50 o 60 piante, ci rendiamo conto?

Quest’oggi e è stata una giornata molto prolifica, lavorativamente parlando. Sono riuscita a centrare il tema che mi ero prefissata di investigare, ed è stato possibile soltanto grazie all’aiuto costante e continuo di Dinusha che, malgrado il fuso orario, un doppio lavoro e matrimoni vari, si sta facendo in quattro dall’Italia per organizzarmi tutto al meglio. Son consapevole che, senza il suo supporto, sarei riuscita a raccogliere l’1% di tutto ciò, e non finirò mai di essergli grata.

Non starò qui a raccontare le storie che ho raccolto (spero che riuscirete a vederle/leggerle molto presto su altri canali..) ma mi hanno colpito molto. Spesso era difficile rimanere concentrati nello scattare le foto, quando ascoltavo testimonianze di sofferenze, di diritti negati, storie – per lo più - senza possibilità di riscatto. E’ triste, tanto.  
Mi hanno accompagnato in questo viaggio MáleeShà e Ravindu , sono due ragazzi molto simpatici e disponibili. Ravindu, in particolare, ha sfoggiato una pazienza infinita, perché io sono consapevole di quanto possa diventare intrattabile nel pretendere di raccogliere il massimo in pochissimo tempo, ma lui si è mostrato sempre sereno e ha cercato di rassicurarmi. E’ giovane Ravindu, ha da poco aperto una piccola agenzia di viaggi, che gestisce autonomamente. Posso solo immaginare quanto possa essere difficile per lui farsi strada. Mi ha detto che oggi è stata la prima volta che ha affiancato una giornalista e, mentre il TukTuk schizzava sulla via del rientro, mi ha confidato di essersi trovato in imbarazzo in molti momenti. “Io organizzo tour, giri al Safari, faccio scoprire ai turisti le bellezze del mio paese. Non mi piace essere invadente, bussare alla porta della gente e spingerli a farsi fotografare, so che per te era importante e l’ho fatto, ma mi sono sentito a disagio”. Lo conosco bene quel tipo di disagio, Ravindu, credimi, ma ci si impara a convivere con il passare del tempo. 

Intorno alle 19 sono rientrata a Villa Daisy, per ripartire poi, mezzora dopo, con i genitori di Dinusha. Il nipote infatti ci è venuto a prendere in macchina, e siamo andati a casa di alcuni loro amici che a loro volta mi hanno accompagnato in un posto dove ho potuto fare foto e interviste. Vedete quanta gente si sta prodigando per me? Quante persone si stanno attivando per aiutarmi? E' bellissimo lavorare così, grazie I go to Sri Lanka Operatore Turistico !

La serata si è conclusa attorno ad un tavolino verde imbandito di delizie, sulla parete di fronte la riproduzione di una raffigurazione de “L’Ultima Cena”. Ne sai qualcosa, Alessandro Lacché ? :)

Nella foto vi delizio con le mie peripezie. Questo pomeriggio infatti, mentre io scattavo e facevo interviste, mentre Ravindu mi traduceva e si improvvisava anche assistente fotografo, MáleeShà si è dilettato nel fare il suo personale reportage sulla sottoscritta. Ed allora…come non farvi ridere un po’!

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Hari e Malli

Oggi è stata la volta di Suneth, il cugino di Dinusha, è lui che mi ha portato a fare un giro lungo la costa. Il tour è iniziato con la visita a chiese, templi buddisti e templi induisti, è mancata solo la moschea ed avevamo coperto tutte le religioni! 

Mi piace tanto entrare nei templi, mi perdo nel turbinio di colori accesi, e poi queste statue immense , e tutto intorno dipinti che narrano varie scene di vita. In quello che abbiamo visitato oggi c’erano anche tanti leoni: simboleggiano il coraggio, la dignità e la stabilità.  

Per visitare un tempio induista ho avuto modo di sperimentare anche una nuova “attrattiva made in Sri Lanka". Camminare scalza per strada! Diciamo che fin quando c’era la terra non ho avuto problemi, l’erba mi faceva solletico ed era piacevole, un leggero disagio l’ho avvertito nel camminare sui ciottoli, ma Suneth sostiene che sia un esercizio molto salutare ed è un massaggio per i piedi… sarà! 

Suneth ha 24 anni, lavora all’aeroporto di Colombo e sta completando gli studi. Ha intenzione di trasferirsi in Nuova Zelanda tra qualche anno, ed iscriversi lì all’università. Faccio il tifo per lui!

Mi ha portato a visitare il mercato del pesce a Nerombo che sorge proprio a pochi metri dalla spiaggia. Mi ha detto che questa zona si chiama “Small Roman”, perché è abitata prevalentemente da cristiani e ci sono moltissime chiese.
Mi sono messa a ridere e gli ho detto che, letteralmente, il mio nome significa proprio: “Piccola Roma”. Hai capito? Tutto torna a volte! 

Al mercato del pesce mi sono sbizzarrita con le foto, c’erano pesci di tutte le dimensioni, anche le anguille ! Sulla spiaggia poi c’erano degli immensi teloni dove i pescatori mettono ad essiccare i pesci per 2-3 giorni, dipende dal sole. Questo lavoro di stesura è affidato alle donne.

Suneth è molto aggiornato in termini di news, sapeva del disastro dei treni che c’è stato a Bari, ed anche dell’attacco di Nizza.
“Italian Prime Minister, the young one, is very good, right?”, mi ha detto ad un certo punto in macchina. Gli ho risposto che sicuramente è meglio di quello che c’era prima, “oh, Berlusconi!”, ha incalzato lui senza darmi neanche il tempo di finire la frase! 

Nella foto vi presento i genitori di Dinusha, i mitici proprietari di Villa Daisy B&B. Ieri pomeriggio quando sono tornata li ho trovati così… con qualche escoriazione di troppo. Erano usciti con il motorino e sono caduti. Nulla di rotto per fortuna, ma dovranno stare un po’ a riposo.  

Così oggi io e Suneth abbiamo portato del pesce fresco e della frutta, i genitori di Dinusha sono stati contentissimi, la mamma ha preparato il pesce in meno che non si dica e ne è nato l’ennesimo pranzo da leccarsi i baffi, ed anche di più! Perché quando io ho provato ad aprire il pesce, rigorosamente con le mani, cercando di copiare Suneth, Daisy (eh sì, la Villa porta il suo nome!) mi ha subito fermato, ha preso il coltello e mi ha pulito il pesce in un piattino, dandomi direttamente i pezzi teneri, pronti da addentare! 
Se ci fosse stata mia sorella qui si sarebbe lamentata dicendo che sono la solita viziata, ma mai come questa volta io non ho chiesto niente! In tutto ciò Suneth se la rideva, e mi ha spiegato che Daisy è abituata ad avere a che fare con gli italiani e sa che non sanno mangiare il pesce. Una volta è stato rischiato persino il soffocamento con una lisca di troppo, insomma…la prudenza per Daisy non è mai troppa! Io da parte mia mi sono goduta il pranzo come non mai, del resto dove lo trovi un simile servizio? Neanche in un hotel a 5 stelle!

Ah: quest’oggi ho imparato le mie prime due parole in singalese, HARI e MALLI. La prima significa Okay, la seconda “fratello”.

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Chilaw, ciak si gira

Oggi me la sono presa un po’ comoda: sveglia alle 8.30, colazione alle 9 a Villa Daisy B&B. Ho incontrato le due libanesi che avevano già i bagagli pronti. Volevano andare a fare un giro a Negombo con il TukTuk, dopodiché prendere il treno per Colombo, visitare la città e nel pomeriggio ripartire per una località più a sud. Ho cercato di fargli capire che non era una buona idea visitare Colombo con le valigie a seguito, ma mi hanno risposto che per loro non era un problema, avrebbero trovato una soluzione. Non so, continuo a pensare che ancora non si rendano conto di dove siano, forse credono di andare lì e trovare un deposito bagagli..bah! Ad ogni modo non ho insistito affatto, e quando sono andate via il papà di Dinusha Hemal Fernando mi ha guardato e ha aperto le braccia, come a dire: “Contente loro!”

Alle 10.30 mi è venuto a prendere  Desh Manju in macchina, per portarmi a Chilaw, una cinquantina di chilometri a nord rispetto a Katunayake. 
Manju è un altro amico di Dinusha, ha 24 anni ed è molto in gamba. E’ appena tornato da un tour di 4 giorni nel safari con dei cinesi, e domani deve ripartire di nuovo. Il viaggio in macchina è durato più di un’ora, ma è volato tra una chiacchiera e l’altra. Anzitutto mi ha rassicurato su Colombo: ha detto che persino loro quando ci vanno usano il GPS, perché è un delirio capire le strade. Ho chiuso gli occhi e per un attimo mi sono immaginata le due libanesi che tentano di uscire dal bazar di Pettah e disperatamente di raggiungere la stazione!

Abbiamo parlato anche di quanto in Sri Lanka sia importante la fede, e di come tante religioni convivano assieme pacificamente. Buddisti, induisti, cristiani e mussulmani, ognuno ha il suo luogo di preghiera, ognuno rispetta la fede altrui. E’ bello no? 

E poi dei frutti! Gli ho detto che tante cose per me sono nuove qui, e ogni volta che per strada incontravamo qualcuno che vendeva frutta, lui si fermava e prendeva quella che non conoscevo per farmela assaggiare…che delizia ragazzi! Gli ho spiegato che a me piace molto l’avocado, ma è molto caro in Italia, costa quasi 5 euro a chilo. Lui si è messo a ridere e mi ha detto che con 5 euro qui se ne potrebbero comprare più di 100! Vorrà dire che la prossima volta che verrò mi porterò una valigia vuota e farò scorta! 

Scherzi a parte, credo che se la ricchezza di un paese si misurasse con la varietà di frutti che la sua terra produce beh…lo Sri Lanka sarebbe nella top ten dei paesi più ricchi del mondo. Mentre gli Emirati Arabi Uniti slitterebbero magicamente in fondo alla lista, perché come mi spiegava la mia amica Dania Saadi a Dubai importano tutto, perché con quelle temperature non cresce niente. Basta poco, a volte, per vedere il mondo da un’altra prospettiva…

E poi abbiamo parlato dei coccodrilli, che stando a quello che dice Manju hanno paura dell’uomo, e quindi non vivono nei fiumi dove ci sono degli insediamenti urbani. Però mi ha detto che qui in Sri Lanka è facile vederli , e così ogni fiume/canale/lago che attraversavamo scattava fatidica la mia domanda: “Ci sono i coccodrilli?”

Arrivati a Chilaw ci aspettava ShÅrù Láksh Å N , è il braccio destro di Dinusha, mente operativa di I go to Sri Lanka Operatore Turistico. Dinusha mi aveva avvisato: “Sharu riesce nell’impossibile, chiedigli qualsiasi cosa e lui si farà in quattro per riuscire ad ottenerla”. Beh, le attese sono state rispettate! 

Anche Sharu ha una bellissima storia alle spalle. Ha 25 anni, quando ne ha compiuti 19 è andato in Inghilterra a studiare, ha frequentato l’università a Londra, Business Managment. Ma la vita londinese non faceva per lui, così, dopo essersi laureato, è tornato in Sri Lanka e, insieme a Dinusha, gestisce "I go to Sri Lanka". 
“E’ libertà questo lavoro - mi ha detto - è la gioia di far vedere e far amare il mio paese ai turisti”. 
Sharu organizza vari tipi di tour, anche al safari. Ha detto che vuole portarmi a vedere gli elefanti, ma ci vogliono almeno due giorni, speriamo di riuscire! 

Con noi c’era anche la sua amica, Madu,e sono un team invincibile!

E’ grazie a lei che quest’oggi sono riuscita ad entrare in un luogo nel quale non avrei mai creduto di avere accesso, facendo foto e video. 

E per farlo sono diventata “magicamente” una giocatrice di tennis che arrivava dall’America, e che voleva fare delle foto per pura curiosità.
Insomma, questo trio fantastico ha reso la mia giornata davvero intensa e proficua, finalmente posso dire di aver trovato la storia che speravo di poter raccontare! 

Grazie amici! 

Eccoli qui, li vedete nella foto: non sono bellissimi?

P.S. Dietro di loro il lago con i coccodrilli!

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Una foto di troppo a Colombo

La sveglia è suonata alle 7 questa mattina, doccia gelata per svegliarmi (visto che alle 3 ero ancora in piedi!) e colazione con uova, toast, burro e marmellata, ananas, due bananiti e caffè cingalese, rigorosamente servito con la Moka.  Dinusha ha istruito bene suo padre: “Agli italiani puoi togliere tutto, eccetto il caffè!”
I go to Sri Lanka Operatore Turistico

Alle 8 in punto Chaminda mi ha preso con il TukTuk e mi ha portato fino all’ingresso dell’aeroporto, da lì ho preso poi il bus direzione Colombo. Trenta chilometri e un’ora di cammino perché sull’autostrada abbiamo trovato anche un incidente. La strada è molto suggestiva, palme e oceano sulla mia destra. 
Mi sono fatta lasciare alla stazione dei treni, e ho visitato il quartiere Pittah, è un immenso bazar dove puoi trovare di tutto, dal pesce fresco all’abbigliamento, da pezzi di ferramenta alle statuette del Buddha.

Tra il cercare di scattare foto e gli scampati tentativi di essere investita dai TukTuk (la guida qui in Sri Lanka è a sinistra, e non mi è ancora tanto chiaro!), tra chiacchiere e discorsi vari incentrati su “ITALIA PIZZA MAFIA” , ho trovato il tempo anche per fare shopping: uno zaino Diesel, pagato 700 rupie (poco più di 4 euro), rigorosamente original! 

Colombo è una città molto caotica, però ha un suo perché. Ed è piacevole da visitare. Ho notato che le persone sono molto pulite, le strade sono curate (difficile trovare rifiuti a terra), ed è un continuo lavare. 

Una cosa però mi ha fatto male, quest’oggi: gli invalidi che chiedono l’elemosina. Fa sempre male vederli, è vero, alla Stazione Termini come in qualsiasi parte del mondo. Però quest’oggi mi ha fatto particolarmente soffrire. Mi riferisco ad un ragazzo, nello specifico, era adagiato sul ciglio della strada, aveva delle gambe abnormi, le dita dei piedi non erano dove sarebbero dovute essere. A dire il vero aveva destato la mia attenzione , in lontananza, non per il suo corpo, ma perché faceva dei movimenti molto lenti e cadenzati con le mani. Ero rimasta incuriosita, per accorgermi poco dopo che stava pregando. Poi, quando mi sono avvicinata, la vista di quelle gambe…. Di quegli arti irriconoscibili, mi ha fatto rabbrividire . Ero a cinque metri di distanza, ho preso la macchinetta e ho fatto la foto, senza pensare. Sono avanzata di due passi, ho schiacciato di nuovo l’obiettivo. Poi basta, non ho fatto più nulla. L’ho superato passando di striscio, senza neppure guardarlo. 
Quando sono rientrata a casa, la vista di quell’immagine mi ha fatto provare di nuovo quella sensazione così brutta, e mi sono sentita tremendamente in colpa. Perché? Perché ho scattato quella foto? A che scopo?
Se fossi stata un’altra persona lo avrei ripreso da davanti, mi sarei avvicinata a lui, gli avrei chiesto il permesso di poter scattare, e poi, soltanto in quel momento, avrei puntato l’obiettivo. E gli avrei anche lasciato qualche soldo. 
Invece no, ho scattato fugacemente e in maniera occulta, e quando gli sono passata davanti non mi sono neppure fermata. Non è un discorso soltanto di elemosina, ma di dignità umana. Fermandomi, guardandolo, parlandogli, lo avrei trattato da uomo. Così invece, gli ho tolto anche quella possibilità. 
Ho perso una grande occasione quest’oggi, e non c’è modo di riparare purtroppo.

Nella foto: selfie con il Buddha nel Tempio di Gangaramaya (Vihara) . Un’avvertenza: se vi capita di entrare nei templi non fate il mio stesso errore: al momento di togliere le scarpe non rimanete con i calzini, ma andate scalzi. Perché spesso il pavimento è bagnato, ed ecco che in men che non si dica vi ritrovate con i calzini bagnati, e non è proprio una piacevole sensazione, specialmente se siete soltanto all’inizio della vostra giornata di cammino!  

Questa sera sono giunte a Villa Daisy B&B due ragazze libanesi. Non ho avuto modo di parlarci granché perché io stavo cenando quando sono arrivate, ma loro hanno lasciato i bagagli e son subito salite di nuovo in macchina chiedendo al taxi un posto dove mangiare. Volevano dei “sandwiches, tipo McDonald’s”. Ma come si fa? Vieni in Sri Lanka e cerchi hamburger? 
Si sono persi la straordinaria cucina della mamma di Dinusha..peggio per loro!

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I go to Sri Lanka

Dopo il post di Dubai molti mi hanno scritto chiedendomi di tenere un diario del mio viaggio asiatico…. beh, ho deciso che ci proverò! Vi farò viaggiare insieme a me, sperando di trasmettervi qualche emozione!

Oggi è ufficialmente iniziata la tappa in Sri Lanka! 
Sono arrivata all’aeroporto di Colombo alle 6 di mattina, dopo un volo di 5 ore da Dubai (ed un’ora di ritardo per aspettare un tizio in prima classe che aveva fatto il check-in ma non si era presentato al gate..).

Mi colpisce subito l’energia dell’aeroporto, i negozi si trovano un po’ dovunque, arrivi e partenze sono un tutt’uno, le file al controllo passaporti interminabili, ed un casino allucinante!
Tutti i passeggeri trasportano carrelli colmi di valigie, borsoni e buste di varie dimensioni, ma vedo anche tantissimi elettrodomestici, frigoriferi alti due metri, microonde etc. Tutti si dirigono verso l’uscita, tralasciando la zona “Merci da dichiarare”, ma vengono prontamente fermati dalla sicurezza ed invitati a cambiare senso di marcia per andare ai controlli. Neanche a dire che viaggi inosservato, insomma, se carichi sul carrello uno scatolone gigante che contiene un frigorifero di due metri!

Alle 8, dopo una breve peripezia alla ricerca del taxi, arrivo a Villa Daisy B&B , un piccolo angolo di paradiso a pochi chilometri dall’aeroporto.

E’ la casa dei genitori del mio amico Dinusha Hemal Fernando , artefice anche di I go to Sri Lanka Operatore Turistico, ed è stata adibita a Bed&Breakfast.

I genitori di Dinusha mi accolgono con un sorriso grande così, mi mostrano la casa (immensa!) , la mia camera da letto (carinissima!), il cucinino e il bagno (con tanto di doccino vicino al water… meglio del bidet!). 
Capisco che c’è una sola regola in casa: camminare scalzi. La rispetterò con molto piacere!

Mi colpisce il verde, la maestosità e la varietà delle piante che ci sono nel giardino, e che la mamma di Dinusha annaffia con cura più volte al giorno. Si respira un’aria di quiete e di calma qui, mi culla il cinguettio di uccelli che non ho mai visto prima. Sono appena arrivata, eppure questo luogo mi ha già conquistato!

Nella foto sono nel TUKTUK, è il tipico mezzo di trasporto qui, e lui è Chaminda, e nei prossimi giorni sarà il mio autista.
Oggi pomeriggio Chaminda mi ha fatto scoprire Negombo, una cittadina che si affaccia sul mare. Ed è qui, su questa spiaggia, che ho aspettato il tramonto, il mio primo tramonto sull’Oceano Indiano. 

Quanto è grande il mondo, e quanto è bello!

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Dubai, un selfie ti cambia la vita

Eccoci all'epilogo della prima tappa del mio viaggio alla scoperta dell'Asia.
"Dubai non è costruita nell'oro", mi ha detto Dania in una delle tante chiacchierate che hanno contraddistinto le nostre serate. Forse è vero.

Al Mall of Emirates due giorni fa mi ha fermato la security, stavo facendo dei video sulla sfarzosità che di certo qui non manca, ma sono stata invitata a riporre la macchinetta: "Qui si fanno solo selfie, se non la metti via subito arriva la polizia", mi è stato detto. Messaggio semplice e chiaro.

Ieri poi, ero diretta al Gold Souq, e la metro era stracolma. Anche la metro ha un suo perché a Dubai: è divisa in carrozze, c'è la Gold Class, poi ci sono un paio di carrozze per le donne, e poi il resto è per gli uomini. Ma ieri pomeriggio non si camminava, e così sono entrata nella vettura degli uomini, e subito in tre si sono alzati cedendomi il posto. Sono rimasta sorpresa, e da quel momento ho iniziato a viaggiare sempre seduta, vagone uomini ovviamente!

Sono stati tutti gentili a Dubai, questo è vero. Stamattina ho visitato la Jumeira Mosque, ed il tour prevedeva anche una colazione a base di pancakes e formaggio. Al termine della "visita guidata" ci hanno invitato a fare domande. C'è chi ha chiesto perché le donne siano vestite di nero, e in cosa consistano i loro funerali.
Io ho chiesto se sia vero che uno dei pilastri dell'Islam prevede opere di carità a favore di chi ha bisogno, e se è davvero così perché questo paese non accoglie i rifugiati, che oltretutto sono islamici come loro. Mi è stato risposto che è una scelta politica del governo, e che comunque gli Emirati aiutano economicamente i paesi che accolgono i rifugiati (vedi Libano e Giordania). 
Gli ho chiesto allora se, alla luce di tutto ciò, loro stessi si considerino dei buoni mussulmani o meno. Non mi hanno risposto.

Cosa mi mancherà di Dubai? Il fare il "morto a galla" nella piscina del Lake Terrace, e vedere le vette dei grattacieli sopra di me. Mi sentivo piccola in quei momenti, e grande allo stesso tempo.

Ma adesso è tempo di voltare le spalle ai grattacieli, e continuare nei viaggi che piacciono a me. Ed allora next stop....Sri Lanka!

Ah, questa foto è di questa mattina, stavo facendo dei video nel bus per riprendere le mega carreggiate (con il cellulare questa volta..) quando l'autista d'improvviso si ferma , apre la porta e mi invita a scendere. Io rimango di stucco, e per un momento temo il peggio, ma lui mi sorride e dice: "Selfie selfie!"

Eccolo qui allora, il mio "selfie" con il Burj-al-Arab, la Vela, l'hotel a sette stelle di Dubai. Gli ho mostrato la foto ed è ripartito, compiaciuto, con me a bordo.

A DUBAI BASTA UN SELFIE PER SOPRAVVIVERE!

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