LE COLONNE D'ERCOLE

Le colonne d'Ercole, nella letteratura classica, indicavano il limite del mondo conosciuto.
Una si affaccia a Gibilterra, l'altra a Ceuta.
Ed é proprio qui, in quella che per tanto tempo é stata considerata la fine del mondo, che ci siamo spinte in questo viaggio. Un viaggio pieno di complicazioni, di moduli da riempire, e di regole che cambiano giorno dopo giorno. E tanta pace per il Green Pass.

É un crocevia di civiltà, Ceuta.
Ne ha viste di conquistatori e di liberatori, contendersi questa manciata di chilometri di terra arsa.
É un melting pot di nazionalità,
convivono quattro comunità : cattolica, araba, induista ed ebraica. Lo ripetono tutti gli abitanti del posto, ostentando orgoglio.

Ma sono molte di più le nazionalità che si trovano intrapoolate qui. Persone che attendono un timbro, un lasciapassare legale per poter proseguire il viaggio. Non ci sono solo marocchini, come si potrebbe immaginare vista la "non distanza" geografica. Non ci sono solo africani del subsahara, ma anche ragazzi dalla Siria, dallo Yemen, uno persino dalla Cina. I paesi che hanno attraversato spesso non stanno nelle dita di una mano. E chissà quanti ne dovranno attraversare, ancora, prima di avere un po' di tranquillità.

Quando siamo arrivate nel punto dove Abdallah e altri giovani senegalesi sono soliti passare le giornate, la prima impressione è stata di totale straniamento.
"Come fanno a stare qui?", mi son detta, mentre con la macchina fotografica scattavo compulsivamente cercando di catturare tutto di quel posto.

Hanno allestito un accampamento di fortuna in mezzo a una foresta. C'era un'amaca realizzata con delle corde e due materassi logori, i tronchi su cui era incastrata davano garanzia di stabilità. Delle sedie malconce in una piazzola avevano come visuale cumuli di spazzatura. E accanto c'era una brace con una pentola di medie dimensioni.
In men che non si dica da una baracca tirano fuori un vecchio divano logoro abellito da una coperta multicolor. Lo adagiano al centro della piazzola, e ci invitano a sederci. Uno di loro inizia a preparare il the, con una cura e una dovizia da far invidia al pranzo di Natale nostrano. Ed ecco che un altro inizia a battere un rametto su una tanica vuota dando il ritmo. C'é chi balla, c'é chi canta, tutti ridono e si godono quell'attimo di spensieratezza così innocuo.
Abdallah regala ad Ilaria un braccialetto fatto con materiali da riciclo.
E continuo a sorprendermi della generosità di chi pur non avendo nulla riesce a darti qualcosa.

LA PORTA D'EUROPA.

Quando posso cerco sempre di percorrere i confini via terra. Perché per carità, é bello vederli dal finestrino di un aereo, ma vuoi mettere quanto é affascinante vivere la geografia, percepirla, calpestarla?

Ceuta é la porta d'Europa. Una enclave spagnola che si trova nel nord del Marocco. In terra africana, battente bandiera europea.

È il confine terrestre che unisce l'Africa al Vecchio Continente.
É da qui che passa la speranza di molti di raggiungere l'Europa, da questo lembo di terra di 19 km appena, che é stato recintato da una barriera di filo spinato che segue le morbide alture e le irte pareti rocciose. Non è troppo difficile superare questo confine, perché inizia e termina sul mare. Così molti lo fanno nuotando. Più sei "profesional", più costeggi a largo, e più chances hai di raggiungere il traguardo . Oppure succede come a metà maggio, quando il Marocco, per dare un chiaro segnale all'Ue, ha aperto i valichi. Passavano 90 persone al minuto, in poco tempo si è rischiato il collasso. E così sono partiti i ricatti. Perché i governi continueranno sempre a fare il bello e il cattivo tempo giocando con le frontiere. A farne le spese saranno sempre loro. Quei giovani che nel loro paese non hanno lavoro, non hanno prospettive. Quei giovani che finiscono in prigione soltanto per protestare, per reclamare i propri diritti. Ne abbiamo incontrati tanti in questi giorni, abbiamo raccolto le loro storie, ci siamo stupite della loro tenacia.

Quando sei lontano vedi le cose con degli occhi diversi. Ed ecco che penso a casa mia, dove il dibattito si concentra sull'apertura o meno delle discoteche, e sul fatto che le persone non vogliano vaccinarsi.
Perché noi dobbiamo avere tutti i diritti, giusto? Ed anche il non andare in discoteca assume i contorni di una gravissima perdita di libertà. Ma guai a parlare di doveri.
Ed io mi incazzo.
Abbiamo invocato il potere della scienza, per demonizzarla subito dopo. Continuiamo a pretendere libertà, rifiutandoci anche di sottoporci ad una puntura che, oltre a riconsegnartela, ti consente anche di proteggere il prossimo.Il fatto è che siamo abituati ad anteporre l'io al noi, il piacere individuale al benessere sociale.

E a chi continua a parlare di mancanza di libertà ecco, io quelle persone lì le estrapolerei di peso, con violenza, dalle loro case, dal loro contesto, per portarle in uno di quei tanti paesi in cui esiste veramente l'oppressione, ed è quella che ti porta a rischiare la vita, a bordo di un kayak, salpando le onde pur di raggiungere la "península".

Andate a vedere, su GoogleMaps, dove si trova Ceuta. E quanto dista dal continente europeo. E quante miglia la separano dallo Stretto di Gibilterra.
Già, c'è un lembo di acqua di mezzo, una immensa fossa comune. Un punto nel quale il mare risucchia le persone nel suo gioco perverso di correnti.

Si vede con occhi diversi, la realtà, quando ti allontani un po'.

Nella foto, in senso orario, una veduta del quartiere di Ceuta che ci ha ospitato nei primi giorni (con tanto di capre a seguito). A seguire la spiaggia del Tarajal, con la frontiera a poche decine di metri. Ed infine il primo "assembramento" che ci siamo concesse in questo viaggio, dopo aver raccolto le voci di tanti invisibili.