Il rientro

Torno in Italia con una valigia che pesa perché contiene due amache. Però tante cose le ho lasciate : i sandali ad esempio ora li indossa una ragazza di 24 anni , che è arrivata ad Ixtepec scalza e con tre bambini, il più piccolo non camminava neanche. Ho lasciato le lenzuola a Geovanny, almeno potrà coprire il materassino di notte, quando si adagia al suolo. 
Anche gli stivaletti Magnum sono rimasti ad Ixtepec, li ho dati a Reinaldo, un ragazzo piccolino, che aveva solo le infradito. Quelle Magnum hanno girato il mondo insieme a me, ma con lui faranno molti più chilometri, e ce la faranno a superare la barriera messicana.  

Tutti dovrebbero provare la gioia che si prova nel donare qualcosa a qualcuno che ne ha veramente bisogno, e ancor più la gratitudine nel ricevere un dono da chi non ha niente. 

A Jose Ayadir, ad esempio, ho regalato una copertina leggera che avevo scippato in aereo sul volo dell’andata. Lui mi ha donato una Lempira, ovvero la banconota dell’Honduras, è l’unica cosa che conservava del suo paese natale, e a nulla sono serviti i miei tentativi di non voler accettare. “Voglio che lo tenga tu, così potrai ricordarti sempre di questa esperienza”, mi ha detto il pomeriggio. La sera, poi, è tornato con un nuovo dono: un piccolo vaso con fiori rosa, realizzati con una lattina di succo di fragola. “Perché ad una donna bisogna sempre regalare dei fiori, per ricordarle quanto è importante”, ha esclamato mentre mi consegnava il vasetto in mano, ed in quel momento ho fatto fatica a sostenere il suo sguardo. Quante lezioni di vita che ho ricevuto qui ad Ixtepec, quanto mi hanno lasciato queste persone della loro anima...

A Joel ho lasciato il mio Power Bank, così potrà caricare quel telefono senza camera e senza auricolari che lui e gli altri ragazzi usano per rimanere in contatto con le loro famiglie. E gli ho donato anche la maglietta dell’evento che abbiamo realizzato a Lecco lo scorso 20 Giugno, in occasione della Giornata Internazionale del Rifugiato. In quella maglietta c’è incisa una frase dalla potenza disarmante: “NO HUMAN BEING IS ILLEGAL”, ovvero “Nessun essere umano è illegale”. Mi ha promesso che la custodirà, la porterà con sé, e la indosserà il giorno in cui cercherà di attraversare la frontiera con gli USA.

Cosa dire di più…in queste settimane in tanti mi hanno chiesto che succede in Europa, in Italia con i migranti, mi hanno chiesto quale sia il percorso più duro , ed io ho sempre faticato a dare una risposta. 
Come faccio? Chi sono io per sentenziare se è più brutto morire affogati in mare, oppure disidratati nel deserto, oppure se è peggio morire tentando di aggrapparsi ad un treno in corsa, che ti fa in tanti pezzi ? O ancora se è peggio spegnersi piano piano, subendo torture, nell'attesa di un riscatto che non arriva?
Chi sono io per definire il tipo di morte peggiore?

Però c'è una cosa che fa pendere l'ago della bilancia (nel senso della difficoltà ) a favore dell'immigrazione europea, ed é la barriera linguistica .
Perché in questo lato del mondo la lingua che si parla è la stessa. Centroamericani e messicani parlano in spagnolo, comunicano, possono capirsi. 
Io li ho visti i messicani con le loro auto venire fuori dall'albergo, con il bagagliaio colmo di ceste di tacos, tortillas, zuppa e un refresco. Li ho visti i messicani entrare nell'albergo, parlare con i migranti, piangere con loro nell’ascoltare le storie. E mi chiedo cosa succederebbe se tutti gli africani (ma anche gli afghani, i siriani, i pakistani etc) avessero il diritto di parola, avessero la capacità di comunicare attraverso la stessa lingua di coloro che accolgono.
Sono sicura che tante chiacchiere diventerebbero zero, che non ci sarebbe tutta questa manipolazione mediatica alla quale assisto inerme e con rabbia. 
Un mondo con meno propaganda e più umanità: ecco quello che ci sarebbe. 

NELLA FOTO, in senso orario, il fiore di latta donatomi da Jose Ayadir; il cielo che unisce il Messico e gli Usa; Joel con la maglia del World Refugee Day Lecco; ed infine un’intervista che la sottoscritta ha rilasciato al settimanale Esta Mañana , traccia indelebile del mio passaggio ad Ixtepec.

 

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Un albergo da un milione di stelle

Lascio l'Albergue quando tutti dormono, non sono neppure le 6, piove ed è ancora buio. Non mi sono mai piaciuti gli addii, cerco sempre la maniera di evitarli , ed anche questa volta ci sono riuscita. 
Salgo sul taxi e la tristezza mi assale. La strada si vede a fatica , i tergicristalli lavorano interrottamente, la musica melodica messicana di sottofondo , mentre attraversiamo quelle vie che mi erano diventate familiari. 

Ripenso ad un discorso fatto con Joel, due giorni prima. 
"Cosa venite a fare qui se poi ve ne andate? Prima venite ad aiutare, e poi ci abbandonate, prima Gabi, adesso tu, che senso ha? " , mi domanda. 
Ero stata io a chiedere a Joel di andare a fare quattro passi, quel pomeriggio. Era il mio penultimo giorno all'Albergue e, complice forse anche la partenza di Levi, ero riuscita a combinare ben poco, perché sentivo un nodo alla gola . Avevo provato a fare delle riprese , anche alcune foto, ma non riuscivo, non riuscivo a concentrarmi. 
Avevo tirato la giornata a fatica, erano da poco passate le 6 quando lo incontro e gli chiedo se vuole uscire un po'. Lui acconsente , il tempo di andare a spruzzarsi il profumo ed è pronto. Aveva piovuto tanto quel giorno, ed il camminare diventa un percorso ad ostacoli, nel cercare di evitare pozzanghere e fango. Facciamo due cuadras e incontriamo Lulu e Ernesto che stanno tornando con il pick-up. 
Ci chiedono dove andiamo, rispondiamo che non abbiamo una meta. "Vado un attimo al bagno e vi raggiungo , aspettatemi qui!", esclama Lulu con quel sorriso così contagioso. 

Ci sediamo su un muretto. Non parla Joel questa volta, aspetta che sia io ad iniziare la conversazione. 
Gli dico che è stata una giornata difficile, ho lavorato poco ma la mia testa è a pezzi. "È che tu non te ne vuoi andare, è per questo che stai così ". Va subito al sodo e, come ogni volta, centra sempre il punto.

Mi chiede come faccia a viaggiare così tanto: “Ma tu come fai a fare questo lavoro? Come fai ad andare nei posti, entrare così in empatia con le persone, e poi salire su un aereo, e voltare pagina ad una nuova meta?". 
Eravamo nel mezzo di questi discorsi esistenziali quando arriva Lulu insieme a Wilson, e lei propone di andare a prendere un gelato. Accetto con entusiasmo, un po’ di zuccheri forse sono proprio quello di cui ho bisogno per rimettermi in moto. 

Per strada iniziano a cantare, Wilson è un artista, e a lui basta un niente per animare ogni momento. All’Albergue è il responsabile delle “notti culturali”, usa due bidoni di plastica per fare le percussioni, e poi canta e balla. Più di qualche volta mi ha detto che voleva insegnarmi a ballare “la punta”, danza tipica honduregna, ma l’ho convinto che era un’impresa impossibile, e che io ero più che contenta di riprenderlo. Insomma, le risa di Lulu, le performance di Wilson ed un gelato amarena e cocco hanno fatto sparire la tristezza. 

Torniamo all’Albergue e lì fuori c’è Maynors, il ragazzo che avevamo soccorso a Salina Cruz con Padre Alejandro. Mi viene vicino e mi abbraccia, lo osservo e sta decisamente meglio. La ferita sulla bocca è quasi sparita, lui ha ripreso a lavorare a pieno ritmo, vuole rimettere da parte un po’ di soldi per proseguire il suo viaggio. Continua a ringraziarmi per l’aiuto a Salina Cruz, ed insiste per offrirmi la cena, come io avevo fatto con lui, quel giorno in cui era stato ferito. Mi porta a mangiare tacos. 

Quando rientriamo sono già passate le nove, ed è iniziata la fila per i materassini. Eh sì, perché i ragazzi all’Albergue dormono fuori, sul cortile, non entrerebbero tutti nel dormitorio primo perché sono troppi, e poi perché fa molto caldo. 
E così ogni sera ognuno di loro prende un materassino e lo adagia a terra, formando una lunga linea orizzontale. Quante notti ho passato ad osservarli dall’alto, dal dormitorio dei volontari. 

“Altro che hotel a cinque stelle, noi qui ne vediamo milioni di stelle, tutto il firmamento è nostro!”, mi diceva Joel per sdrammatizzare. Così l’ultima sera ho chiesto alla sicurezza il permesso di potermi coricare anche io con il materassino nel cortile. Volevo capire cosa si provava a dormire con gli insetti che ti pungono, i cani che passeggiano accanto, e un materassino che la sera prima apparteneva a qualcun altro. 

I vigilanti erano un po’ sorpresi da questa richiesta, mi hanno detto che non era igienico e mi potevo prendere qualche malattia della pelle, visto che materassini e coperte sono logore, ma a me non importava. Non volevo favoritismi, dovevo sperimentare come vivevano loro, la nuda e cruda realtà. “Contenta tu”, ha alzato le spalle il vigilante.
Il Pantera si è messo subito allerta, perché lui all’una di notte andava a lavorare, e quindi non poteva vigilare su di me, ma mi ha schierato un assetto di cinque persone accanto, avrebbero fatto i turni a stare svegli, così nessuno avrebbe messo le mani sul mio cellulare etc. 

“Sei sfortunata perché purtroppo non ci sono le stelle stasera”, mi ha detto Joel. Ed in effetti sopra di noi c’era un cielo carico di nubi. 
Dopo una mezzoretta però è arrivato il vigilantes e mi ha fatto fare dietrofront. “Per questioni di sicurezza non puoi dormire qui, mi dispiace”, ha sentenziato senza darmi possibilità di replica.  
Così sono salita sul sottotetto del dormitorio dei volontari, e mi sono messa a dormire sull’amaca, e a “spiarli” dall’alto. A mezzanotte ha iniziato a piovere, tutti si sono alzati di corsa, e con il materasso sulla testa sono andati a trovare riparo nel locale mensa, adagiandosi sotto i tavoli. Io sono rimasta sull’amaca, guardando la pioggia davanti a me, e pensando a quanto possa essere dura la vita alle volte. 

Ed ecco che il taxi sta per arrivare all’aeroporto. Iniziano a scorgersi le luci dell’alba, mentre nella mia mente si ripercorrono come istantanee di vita gli attimi e momenti vissuti negli ultimi venti giorni. 
E ripenso alla domanda di Joel: "Ogni volta che vai in un luogo poi devi lasciare le persone a cui ti affezioni, non è una sofferenza continua?". 
E a quella che è stata la mia risposta: “Sì, soffro nel momento del distacco, ma come faccio a rinunciare a tutta questa ricchezza? Vuoi mettere la bellezza e la magia degli incontri?”.

NELLA FOTO, dall'alto ed in senso antiorario: il momento gelato con Lulu, Wilson e Joel; un selfie con Jose Ayadir; due istantanee dell'hotel con vista un milione di stelle; infine in posa con Yazira, una delle poche ragazze presenti nell'Albergue, di una dolcezza e un coraggio senza eguali.

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Levi e El Pantera

Ieri sera è andato via Levi, volontario-giornalista by USA, e per me è stato un duro colpo. Perché mi ero abituata a lui, alla sua presenza. I nostri pranzi, le nostre chiacchierate, i confronti sul giornalismo. Ci siamo arricchiti giorno dopo giorno, ci raccontavamo delle storie trovate, ci ponevamo dubbi, riflettevamo sulle contraddizioni che a volte si manifestavano, e cercavamo di rintracciarne le ragioni.

In tanti momenti nei quali ero davanti ad un bivio, il confronto con Levi mi ha aiutato a chiarire le idee, e a prendere una strada per continuare il mio documentario. Non so se riuscirò a portare a casa il lavoro che avevo in mente, ma se ce la farò sarà stato anche grazie a lui , ai suoi consigli.
In molti ci hanno chiesto se eravamo arrivati insieme ad Ixtepec, e se lavoravamo negli stessi giornali negli Stati Uniti. Del resto qui tutti faticano a credere che sono italiana, e mi considerano “gringa” , proprio come lui. 
Levi è partito per Veracruz, per proseguire il suo progetto di ricerca e trascorrerà in Messico tutto l’anno, io invece ho i giorni contati qui. 

In questi ultimi giorni c’è una coordinatrice dei volontari che mi sta mettendo un po’ i bastoni tra le ruote, nel senso che trova sempre l’occasione per richiamarmi. Temo che sia perché vede che sto sempre con la telecamera in mano ed aiuto poco in ufficio, e forse dopo più di due settimane questa situazione le inizia a pesare. Ma io non posso allentare proprio ora che sto trovando quello che cerco. 

Stamattina, ad esempio, dopo colazione, con Lulù ed alcuni ragazzi avevamo deciso di andare in centro, perché io volevo comprare un’amaca, e visto che oggi c’era il mercato loro sapevano dove potevo trovarla. 
Io ero già uscita dall’albergo e mi ero messa in cammino con gli altri, ma la signora in questione ha bloccato Lulù e le ha detto che stavamo disubbidendo alle regole perché è proibito che i volontari escano insieme ai migranti. 
Non so cosa le abbia risposto Lulù, probabilmente ha solo tergiversato ed è uscita lo stesso. Quando mi ha raccontato l’accaduto io sono rimasta stupita, e ho letto lo stupore anche nei suoi occhi.
Anche loro si sono sentiti feriti da questa cosa, nessuno sapeva cosa fare, ma per fortuna c’era Joel a sdrammatizzare: “Non vede che siamo una troupe che sta andando a lavorare? Dai muoviamoci, che altrimenti qui la giornalista ci castiga se perdiamo tempo!”. 
Ed effettivamente tra chi teneva la macchina fotografica, chi il cavalletto, chi l’Osmo, chi lo zaino beh…sembravamo proprio un bel team in azione! 

Dovevamo essere in quattro ad andare, ma siamo diventati dieci. Per arrivare al mercato abbiamo attraversato la stazione ferroviaria, c’erano dei treni merci parcheggiati, e Joel&Co hanno iniziato ad arrampicarsi e a salire su. Del resto quando sei capace di aggrapparti ad un treno che viaggia alla velocità di 80 km, diventa una barzelletta balzare sopra quando è fermo...

Mentre stavamo per raggiungere il mercato, Reinaldo mi dice che oggi è il compleanno del Pantera.
Oh sì, il Pantera, uno dei personaggi indiscussi dell’Albergue. Lo chiamano così per via del suo tatuaggio sul braccio sinistro, sempre ben in risalto con la canotta bianca . All’inizio ero molto scettica sul suo conto, appunto perché l’apparenza è quella che è, ma poi con il passare dei giorni mi sono ricreduta. 

Pantera è un caro amico di Geovanny, hanno fatto il viaggio insieme. Ha la verve da leader, è una persona che vuole tenere tutto sotto controllo. In più di un’occasione è intervenuto quando qualcuno cercava di importunarmi, e seppur mi parlava di rado, voleva sempre sapere dove andavo quando uscivo. 

Oggi compie 41 anni.  
Quando siamo usciti dal mercato (con due amache!), ho chiesto a Joel di andare in una pasticceria. 
Ho preso la torta più grande e l’ho fatta dividere in dieci pezzi, due bottiglie di CocaCola da 2,5 litri, e siamo andati al parco a festeggiare. Poco importa se non c’erano le candeline, abbiamo cantato la canzoncina di auguri (non la classica “Tanti auguri a te…” , che in spagnolo era “Cumpleano feliz, cumpleano feliz..”, ma una canzone più lunga e molto più carina), ed un grande applauso e brindisi finale. 

Mi ha raccontato Geovanny che Pantera è stato più volte espulso dagli Stati Uniti e deportato in Honduras, ed adesso tenta di nuovo il grande passo. 
Mi chiedo come ci si debba sentire a vivere tutta una vita a lottare per raggiungere un luogo. 
E mi chiedo come ci si debba sentire, a 41 anni, senza una patria, lontano dalla famiglia, in una condizione di stasi e di attesa. 

Avevamo il sole a picco sopra di noi quando rientravamo, e lo stomaco pieno dall’abbuffata di calorie. Non so quante volte ognuno di loro mi ha ringraziato per quella fetta di torta inaspettata, ed anche Pantera lo ha fatto, a modo suo, accennandomi un sorriso.

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El tren

Son più di due settimane che sono qui.
Ho rifatto tutte le interviste che avevo fatto i primi giorni, e sono uscite fuori molte più cose. Perché loro adesso si fidano di me, ed io mi fido di loro , totalmente . Non mi fanno mai uscire da sola, sempre mi accompagnano almeno in due, "perché non ti dimenticare mai che il Messico è il paese più violento al mondo, siamo secondi soltanto alla Siria", mi ha ripetuto Padre Alejandro in più occasioni.
Ma io ho delle guardie del corpo speciali, sono i miei amici, e mi sento al sicuro.

Ho legato con tanti ora, mi fermano, mi raccontano le loro storie, parliamo dell'Italia e dei mille modi in cui cucinare la pasta. Si condivide una quotidianità qui che è un'attesa, un qualcosa di passaggio, e forse per questo che tutti cerchiamo di sfruttarla al meglio . Con Joel, ad esempio.

Non so quante ore abbiamo parlato con Joel, e continuerei all'infinito, se solo fosse possibile. È una persona che sempre pensa prima di parlare, sempre usa le parole giuste, ironico ma senza stancare . E a lui non importa che il mio spagnolo alle volte diventa uno SpanishEnglishItalian , perché sempre riesce a capirmi , e mai si stanca di ripetermi. Mi ha detto che mi osservava i primi giorni , percepiva il mio disagio, ma non poteva venire , perché ci vuole tempo.

"Domani c'è la partita, giochiamo allo stadio quello grande, vieni vero?", mi chiede. Gli rispondo che non era nei miei piani, perché ho già fatto varie riprese mentre giocano a pallone , e non me ne servono Altre. 

"Vieni senza macchina fotografica , vieni a divertirti con noi , sai quanto sarebbe bello per noi sapere che sei lì non per il tuo lavoro ma per vederci giocare ?". 

Quella risposta così semplice mi ha fatto Aprire gli occhi, togliendomi dall'ottusità nella quale mi ero rifugiata, senza saperlo forse. Improvvisamente mi sono immaginata cosa significa vivere due settimane con un obiettivo sempre puntato addosso.
Li ho ripresi senza sosta, instancabilmente, dalle 6.30 di mattina quando iniziavano ad alzarsi, alla sera quando adagiavano i materassini a terra, qui sul cortile, e si avvolgevano il petto nudo con la coperta. 
Ieri quando rientravamo dopo l'ennesima sessione di riprese all'esterno un ragazzo mi ha chiesto quale fosse il proposito di tutto questo mio lavoro, perché dura così tanto tempo. Gli ha risposto Geowanny che io voglio cercare di far vedere oltre quello che dicono i giornali, far capire come si sente un migrante, al di là delle etichettature, soltanto come persona. 
Non gli avevo mai parlato in questi termini a Geowanny , ma questa è l'idea che si è fatto lui, osservandomi.  

Nelle foto si vede la "Via del tren", è così che loro arrivano fin qui, seguendo i binari. E sono quegli stessi binari che, percorsi all'infinito, portano agli Stati Uniti.

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Padre Alejandro Solalinde

Tutti mi dicono che sono stata fortunata , perché Padre Alejandro non si ferma mai nell'albergo per più di due giorni , e quindi il lavoro con i giornalisti si riduce ad interviste sporadiche. Io ho passato con lui una settimana, ed in questi sette giorni mi ha dato davvero tanto . Il suo modo di approcciare le persone, la sua umiltà , eccola la sua forza: questo è quello che più mi piace di lui.
Oggi siamo stati a Salina Cruz, un posto ad una settantina di km da qui, perché lui voleva dare la benedizione ad un barbiere migrante che è riuscito dopo tanta fatica ad aprire questa attività. 
Salina Cruz è un porto petrolifero , ed è un punto cruciale per gli scambi commerciali del paese . "Andiamo a mangiare in un posto pulito, che non voglio che Romina si senta male, e neanch'io voglio sentirmi male!", ha detto scherzando a R., autista e guardia del corpo. 
Sì, la scorta, Padre Alejandro Solalinde ce l'ha dal 2012, perché è minacciato di morte dai Narcos, a causa del suo impegno sociale per i migranti.

R. ha esaudito la sua richiesta alla perfezione, siamo andati in un ristorante con vista sull'oceano, ed abbiamo mangiato pesce . Ad un certo punto sono arrivati due signori a salutarlo , e poi in meno di dieci minuti Son arrivati tre giornalisti, che senza troppi convenevoli hanno tirato fuori il telefono fatto interviste video .
Padre Alejandro è Astuto, e lo sa che la stampa è risonanza , così li ha invitati all'inaugurazione del barbiere ("almeno facciamo pubblicità al ragazzo!" , mi ha detto).
Usciti dal ristorante , dall'altro lato della strada, c'era un ragazzo che lo ha chiamato. Padre Alejandro lo ha salutato e gli ha detto di avvicinarsi, mettendo in allerta la scorta .  

Maynors è salvadoreño , e vive nell'Albergue da tre mesi, per aspettare la sua VISA Umanitaria. Ha lavorato anche in questo periodo , e si é messo da parte un po' di soldi. Venerdì è venuto a Salina Cruz per ritirare la sua Visa umanitaria , ma mentre andava a riprendere l'autobus per tornare a Ixtepec lo hanno assaltato. Da dietro, erano in tre, un colpo alla nuca ed una ferita da taglio vicino la bocca. Gli hanno rubato il denaro, 3 mila pesos, il cellulare , e lo hanno lasciato a terra . Maynors è stato due giorni a Salina Cruz, una signora lo ha aiutato a disinfettare la ferita. Ed è una signora che abita vicino al ristorante dove eravamo noi. 

Maynors mi ha riconosciuto nel momento in cui siamo entrati al ristorante, ha riconosciuto me e la mia telecamerina , e così ha aspettato che finissimo di mangiare e poi, all'uscita, si è avvicinato a Padre Alejandro . 

Il padre lo ha fatto salire in macchina con noi, "Ti riportiamo a Ixtepec ed andiamo a fare la denuncia insieme , non sei solo", lo rassicurava nel tragitto in macchina .
Maynors ci ha raccontato la sua storia, ha vissuto sette anni negli Stati Uniti, parla il russo oltre all'inglese e allo spagnolo, ed è un perito tecnico. Ha due figlie in El Salvador, e ha chiesto la VISA per poter portarle con se.

Lo guardo e capisco, cosa c'è dietro quegli abiti sporchi e quello sguardo perso. Se fossi stata sola penso che mi avrebbe fatto paura, magari lo avrei scansato , forse non lo avrei lasciato neppure parlare. Perché l'apparenza ci condiziona tanto.
Padre Alejandro invece no, vede oltre, ha visto la sofferenza nei suoi occhi , ha risposto alla sua richiesta di aiuto.

Prima di tornare all'Albergue ci siamo fermati in un ristorante per far mangiare Maynors , ed il Padre ha chiesto per lui una zuppa di pollo liquida, perché non poteva masticare niente .

"Pensavo di essere famoso qui - mi ha detto Padre Alejandro sulla via del rientro - ed invece Maynors ha riconosciuto te anziché me, c'è sempre da imparare, lo vedi? Oggi ad esempio ho capito che devo portarmi sempre un'italiana con gli occhi blu dietro!"

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Ojo de agua

I giorni passano veloci, qui nell'Albergue Hermanos en El Camino. E' una settimana che sono qui. Mi sembra ieri che sono arrivata, e allo stesso tempo sembra che sia passata una vita. Perché le storie sono forti, si intrecciano, a volte si sovrappongono. Resta la determinazione, la voglia di arrivare, la promessa di non mollare.
Molti stanno qui nell'albergo da un mesetto, aspettano la VISA Umanitaria, che gli consente per un anno di stare legalmente in Messico. Alcuni la useranno nel senso lato della parola, per altri sarà invece solo un tramite, per arrivare al confine e cercare di entrare lo stesso negli Stati Uniti. Senza Visa ovviamente, in modo illegale. 

Con alcuni dei ragazzi siamo diventati molto amici, mi aiutano in tutto nel mio lavoro, e si improvvisano assistenti per farmi guadagnare angolature diverse delle mie riprese. Uno di loro è Joel, 24 anni, hondureño .
Parliamo tanto con Joel, dell'Honduras, di cosa significa vivere con l'incubo delle Maras, le gang che se hai ti ammazzano perché hai, e se non hai ti ammazzano perché non hai.
Non è facile la vita in Honduras, dove a 13 anni una ragazza diventa mamma. L'aspettativa di vita è di 70 anni , e con Joel abbiamo fatto il conto che una signora di 70 anni ha almeno 25 nipoti, ed è bis, tris etc etc... nonna !

Con i volontari è bellissimo, si è creata una sintonia speciale. Oggi se ne va Gabi, è stata qui per un mese, ed è una forza della natura. Solo ieri ho scoperto che ha 33 anni e due figli che la aspettano a casa. Deve rientrare perché il più piccolo va a iniziare la scuola elementare, e lei vuole essere lì il primo giorno di scuola, vuole prenderlo per mano ed accompagnarlo fino al portone. Viene dallo stato di Veracruz , e si è fatta anche lei 12 ore di viaggio per arrivare qui ad Ixtepec. 

Così ieri pomeriggio per salutarla noi volontari siamo andati ad Ojo de Agua , è un posto che sta a circa venti minuti da qui, una piscina naturale che sorge tra rocce e vegetazione. Erano le sette quasi quando ci siamo buttati in acqua, e che sollievo. In Messico la maggior parte delle donne si vergogna di mostrare il proprio corpo, e così quasi tutte ieri facevano il bagno con maglietta e pantaloni . E non c'entra niente qui l'Islam e bla bla bla, si chiama soltanto pudore. 
Siamo stati un paio d'ore all'incirca, che sono volate tra una battuta e un'altra. 

Era buio quando abbiamo preso la via del ritorno. Eravamo in otto dietro, sul pick up. Gabi e Levi stavano in piedi, guardando la strada davanti a loro. Noi altre stavamo sedute , sulla lamiera che si arroventava con il motore. Io ero lì, in mezzo a loro, con gli occhi all'insù , guardavo il cielo, l'immensità del firmamento con le sue stelle così limpide che sembravano volersi avvicinare. 
E in quel momento mi è sembrato che non ci siano distanze che tengano e che il mondo è piccolo, in fondo, considerata la vastità del cielo .

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Hermanos en el camino - L'INCONTRO

Arrivo ad Ixtepec alle 10.30 di mattina , dopo aver viaggiato tutta la notte. Piove, c'è fango, ed i miei bagagli sembrano più ingombranti che mai. 
"Hermanos en camino" è uno dei tanti alberghi per i migranti sparsi in Messico, un posto dove le porte sono aperte, e chi è stanco del viaggio, è stato ferito o altro può fermarsi e riposare qualche giorno. Prima di riprendere il cammino verso il Nord, anzi, il Norte .

Il primo giorno lo passo un po' in sordina, i ragazzi iniziano a parlarmi subito, sono carinissimi , basta un ¡Hola! per aprire le porte.
Ma io sono abbastanza rincoglionita, la notte in bus, la pioggia incessante, non capisco nulla. La giornata se ne va tra un riposino e gli innumerevoli tentativi di connettermi ad internet, e la sera faccio fatica a parlare anche con gli altri volontari .

I volontari, sì, sono loro lo zoccolo duro di questo luogo, oltre a Padre Alejandro ovviamente (ma di lui avrò modo di parlarvi in seguito ...). L'albergo infatti va avanti grazie ai volontari che vengono da ogni dove e si fermano alcune settimane qui, ad aiutare.

Passo molto tempo con Lourdes , detta Lulú, è messicana, ha 26 anni ed è a dir poco un portento! Ha vissuto a Dublino, Parigi, Strasburgo, parla spagnolo, inglese , francese ed anche un po' italiano ,perché i genitori sono stati qualche anno a Busto Arstizio.

E poi c'è Levi, è un giornalista americano, viene dalla California ed ha vinto una borsa di studio per lavorare un anno sul tema delle migrazioni in Messico. Starà qui nell'albergo un mese. Lui fa soprattutto radio, è specializzato nell'audio, e per me è stata una manna dal cielo, così quando inizierò a smadonnare con tutti i miei cavi beh... Saprò chi chiamare !

La mia prima serata si conclude presto, 
non sono neanche le 9.30 e sono già a letto ko.

Questa mattina però in compenso mi sono svegliata carica, riposata e serena . Alle 8.45 partecipo alla riunione dei volontari , si decide come dividersi le varie attività quotidiane, ed a me viene affidato il controllo all'ingresso della mensa sia a pranzo che a cena, niente male per iniziare !

Sono da poco passate le 9, il pranzo viene servito alle 2, significa che ho tutta la mattinata libera per fare video e foto, sembra perfetto, no?

Ed invece vengo presa da una fifa pazzesca, non me la sento di tirare fuori l'attrezzatura fotografica, e di scendere tra i ragazzi con la macchinetta in mano. 
Perché ? Dove sta la delicatezza? E il
rispetto? 

A volte vorrei essere come gli altri volontari, che vengono qui solo per aiutare, senza chiedere niente in cambio. Io invece sono qui per raccontare , per documentare, ed ecco che mi trovo una telecamera tra le mani, e mi trovo ad invadere, anzi infrangere la privacy di queste persone , la loro intimità , un'intimità che è stata già messa a dura prova in questo viaggio. 

Non è una sensazione nuova purtroppo, la provo ogni volta che arrivo in qualche luogo e so che devo "spingere" per portare a casa qualcosa di buono, eppure non riesco ad abituarmi e a scollarmela di dosso. 

La lotta interiore dura una mezzoretta, poi la ragione vince sul cuore, ed ecco che la modalità "giornalista" si mette in moto. 
Faccio un po' di riprese , ed iniziano ad arrivare le prime storie: profonde, toccanti, uniche. Come unico è lo strazio di chi è costretto a lasciarsi tutto alle spalle, solo per mettere in salvo la sua vita. 

Nella foto sono con Geovanny e Milo , due amici hondureños !

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Città del Messico

CITTA' Del MESSICO, tappa numero uno del viaggio. Tante le istantanee di queste prime quarantotto ore in suolo messicano. Un'energia dirompente , che ti abbraccia e ti avvolge nel suo turbinio... Quanto mi mancava l'America Latina!
Dei piccoli calciatori in erba sfidano il caldo facendosi il bagno nella fontana del l'Alameda Central, erano in sette, eppure gli schizzi sono arrivati in ogni dove , tra le risa e gli sguardi attoniti dei malcapitati passanti. Il quartiere della tecnologia , vale a dire dei piccoli centri commerciali Spartani con una marea di negozi tutti uguali che riparano telefoni, li sbloccano, te li vendono; hanno una miriade di dvd e di videogiochi per le varie PS, e cercano di rifilarti a tutti i costi l'antivirus per pc. 
E poi i murales di Diego Rivera, i ritratti di Frida in ogni dove, la musica, il frastuono, i mille colori, mi chiedo come facciano a non sentirsi smarriti i messicani quando vengono in Italia... !

Il primo giorno a colazione ho conosciuto Diego, un ragazzo messicano che vive negli Stati Uniti, ed era la prima volta che veniva a Città del Messico (non ricordo la sua regione di provenienza). Era entusiasta di questa scoperta, di conoscere i mille angoli della capitale : "Il Paradiso lo abbiamo qui - mi ha detto - ma ci ostiniamo a non vederlo e a cercarlo altrove". 

PICCOLO ANEDDOTO DEL VIAGGIO IN AEREO-
Sono seduta accanto ad una Donna fiorentina che mi usa da traduttore automatico. Viaggia in gruppo, si chiamano “Gli avventurieri nel mondo” e sono un'alternativa alle agenzie turistiche: si condivide un luogo d’interesse e poi si decide di partire, senza conoscersi, così anche lei che non sa dire neanche "acqua" in inglese può viaggiare in ogni dove. Peccato però che il booking non l’abbia messa vicino a nessuno dei suoi "amici", per la mia gioia incontenibile. 
Ad un certo punto inizia a lamentarsi perché con i sandali ha freddo ai piedi, intuisco quale possa essere la richiesta per il malcapitato stuart che sta per arrivare, e così io fingo di dormire e di non ascoltarla. Ma lei è temeraria, e fa tutto da sola: alza il piede, glielo fa vedere, e fa “Brrr!!!”. Lo stuart stringe le spalle. Eh no, la United non fornisce calizini ai suoi clienti, bisognerà fare un reclamo scritto!

Qui sotto, in senso orario: l'arrivo all'aeroporto dopo appena 18 ore di viaggio ; la panchina della terrazza dell'ostello; un selfie dal Mirador Torre Latino, uno dei simboli di Città del Messico; e per finire uno dei murales di Diego Rivera all'interno del Palacio Presidencial .

Ed adesso sto per salire sul bus, viaggerò tutta la notte ed arriverò domattina alle 9 ad Ixtepec. La gente è preoccupata perché Sta per arrivare l'uragano, ma io dovrei riuscire ad evitarlo, perché dovrebbe passare in un'altra direzione... Speriamo bene!

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