Una casa a Puerto Madero

Tornare a Puerto Madero da Gina e Carlo, ogni volta, significava per me tornare a casa. Lì avevo una stanza tutta mia, c’era la valigia, c’era lo zaino e l’attrezzatura fotografica. C’erano loro.
L’ultima sera mi hanno detto di invitare anche Alejandro a cena. Dovevo vederlo per salutarlo, lo avevo costretto a venire fin sotto casa, perché avevo un piede ko, e non riuscivo a camminare. Ha accettato.
Abbiamo mangiato gnocchi, polpette, cavolini di Bruxelles e la serata è volata rievocando vecchie dive italiane, campioni argentini, uruguayani e cileni che hanno fatto grandi Roma e Lazio e discorsi su colonialismo e comunismo. 
Mentre andavamo via, sull’uscio della porta, Alejandro mi ha detto: “Che bello aver trascorso una serata in famiglia, era da tanto che non mi succedeva”.
Aveva ragione.
Credo che sia stata questa la cosa più bella di questo viaggio: l’essermi sentita sempre accolta, a mio agio, non aver mai provato sulla mia pelle la sensazione di essere straniera. 
Ero a casa, mi sono sempre sentita a casa, quando rientravo distrutta la sera e mi sedevo a cena con Carlo e Gina, oppure nelle mie giornate alla Villa31, quando prendevo parte alle grandi tavolate, o quando Padre Guille apparecchiava per due nella sua cucina, e tra una portata e l’altra continuava a raccontarmi di quei luoghi. E mi sentivo a casa durante le serate passate con Dario e sua nonna a sorseggiare mate. 
E’ bello sentirsi a casa, è una sensazione così semplice da risultare quasi naturale, eppure come ci sentiamo stravolti quando viene meno, ed allora sì, è in quel preciso momento che ne riconosciamo l’importanza.

Avevo chiesto ad Alejandro di portarmi un paio di libri della sua casa editrice, come ricordo. Lui ne ha scelti tre, e si è presentato anche con un regalo: un quaderno con i fogli rosa e la copertina di cartone riciclato.
“Devi riprendere a scrivere seriamente – mi ha detto – non intendo appunti o spunti per i tuoi articoli, queste pagine hanno il colore del cuore, e vanno riempite soltanto di sentimenti ed emozioni. E lascia perdere i social network per favore, in rete c’è già un surplus di qualunquismo e falso moralismo, non serve anche il tuo”.  
Ed ecco che rientro in Italia con un compito in più, quello di riappropriarmi della carta, tornando a scrivere sulle pagine rosa di un quaderno fatto con cartone riciclato.

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