Avete presente cosa si prova in quel preciso momento nel quale vorresti che il tempo si fermi perché sai che quello che ti aspetta è qualcosa che ti spaventa, e che potrebbe ribaltare tutto? Guardi un punto fisso e ti concentri sul presente, su quell’istante, sperando di riuscire a congelarlo.
Ecco, io ho vissuto quella sensazione due ore fa all’incirca, quando ero in una casetta dentro la Villa, nella zona della Capilla Virgen de Guadalupe (non ho avuto una vocazione improvvisa, ma se continuo a citare le chiese, è perché nella cartina che mi hanno dato non ci sono i nomi delle strade, ma sono le Capillas gli unici punti di riferimento). Questa zona si trova esattamente nella parte opposta rispetto a dove dormo io, e la casa di Maria non è sulla strada principale (se così si può chiamare), ma molto addentrata, in quelle stradine strette dove non si vede il cielo, tanto sono fitte le abitazioni che, in tutta la loro precarietà, si estendono in altezza. Quando la strada è percorribile soltanto nei due marciapiedi, minuscoli e occupati dalle scale a chiocciola in lamiera, perché al centro stanno “arreglando”, stanno sistemando. Ed ecco che quelle scalinate diventano un perno, agganci uno scalino con la mano, e con il corpo dondoli e ti sposti di centoottanta gradi. Superato l’ostacolo non ne trai giovamento, perché magicamente sul tuo percorso trovi dei cani che sembra non abbiano nessuna intenzione di cederti il passo, alcuni per fortuna hanno la museruola, ma quelli che ne sono sprovvisti beh.. non credo che sia per buona condotta.
Ed in tutto questo piano piano inizia a venire giù acqua. Alzi lo sguardo per vedere se stai passando sotto lo scolo di qualcosa, e ti accorgi di no (per fortuna!!!), è soltanto pioggia.
Il tempo di arrivare a casa di Maria ed ecco che viene giù il finimondo. La pioggia scende battente, picchia sui tetti di lamiera, facendo un rimbombo che dopo un po’ diventa un suono familiare.
Eduardo mi guarda, e mi dice: “Romina, rimaniamo un po’ qui e aspettiamo che la pioggia smetta, va bene?”, io acconsento con gioia, non ho nulla da obiettare. E così dicendo Maria mette a riscaldare l’acqua per preparare il mate.
Il mate è la bevanda tipica di qui, si prende in una coppa speciale, dove c’è una cannuccia di latta. Si versa un po’ di questa erba (tipo the, è bene precisarlo) e si aggiunge poca acqua. E’ una “bebida para compartir”, si beve tutti dalla stessa coppa, e se la prima volta mi è sembrato un po’ strano beh… adesso sono una “mate-dipendente”!
E mentre loro parlano di pellegrinaggi, di Madonnine che devono essere portate da una casa all’altra come benedizione, di parenti che ti assumono a nero (ed è la prima volta che ho sentito un discorso equiparabile all’Italia!), io penso al momento in cui usciremo da qui. Al momento nel quale sarò di nuovo, per strada, a fare l’equilibrista, supponendo che quella simpatica pioggia non stava facendo altro che aggiungere fango al fango.
La giornata era stata perfetta fino a quel momento, e volevo che rimanesse tale.
Il pomeriggio con Eduardo eravamo andati vicino la Capilla de Guadalupe, perché alle tre iniziava il bingo.
Eduardo è un seminarista, e viene alla Villa tutti i fine settimana, fa una sorta di praticantato a quanto ho capito. Ha 40 anni, è entrato in seminario a 35. Prima aveva studiato, si era laureato come “contador”, lavorava ed aveva il suo salario. Poi ha capito che non era la sua strada, si è avvicinato alla chiesa del suo quartiere, e ha scoperto la vocazione e la bellezza di dedicare la propria vita agli altri (e a Dio).
Il bingo lo ha organizzato un gruppo di donne della parrocchia, tra le quali ci sono Maria e Ines, con il ricavato vogliono fare un pellegrinaggio alla Virgen de Guadalupe, in Paraguay, e porteranno anche la statua che sta nella cappella. A quanto pare queste statue viaggiano più delle persone in America Latina!
La tombolata è durata un’oretta e mezza circa, e c’era tanta gente. Avevamo messo un tavolo grande con delle sedie, che subito si è riempito.
Mi piaceva vedere la loro concentrazione, quella stessa che vedi nella gente che passa i pomeriggi facendo la fila al Superenalotto nei centri commerciali, o nei vari tabaccai e punti Sisal.
Ma qui c’era una componente in più: il divertimento, l’aiutare il vicino a controllare i numeri, lasciare i bambini a giocare tutti insieme strillare ai bambini per farli stare in silenzio, altrimenti si perde il filo. Una tombolata di quartiere, la definirei così.
Una volta a casa, mentre fuori pioveva, le donne si sono messe a fare i conti del Bingo, quali erano i costi, quali i guadagni. Avevamo preparato anche delle empanadas e la Zopa da vendere ma, al contrario delle cartelle della tombola, non avevano riscosso tanto successo. Iniziavano a chiedersi cosa avevano sbagliato. “Ci voleva una persona che si dedicava solo alla vendita del cibo”, suggeriva Eduardo. “Io ho cercato di fare del mio meglio, ma non riuscivo sempre a passare con l’insalatiera a vendere”, rispondeva Ines sconsolata. Facevano i conti di quanto era costato preparare tutte quelle empanadas, ne erano avanzate più della metà. Ed anche la Zopa. Avevano fatto un gran lavoro, si erano spese tanto tra ieri e oggi per andare casa per casa a promuovere il loro bingo. Così ho avuto un’idea: “Quelle che avanzano le compro io, le porto agli altri curas e le mangiamo tutti insieme stasera”. Loro erano molto contente, subito hanno cercato una scatola (delle scarpe) dove poterle mettere, ognuna avvolta in un tovagliolo. Ne ho prese 12, tutte quelle che erano nell’insalatiera, non avevo capito che ne stessero friggendo delle altre. La dozzina costava 250 pesos, ho aperto il portafoglio e mi erano rimaste quasi tutte banconote da 500. Ne ho presa una e gliel’ho data, dicendo che stava bene così. Ma loro non hanno voluto sentire ragioni, non potevo pagare così tanto. E a nulla sono serviti i miei tentativi di spiegare che, da quando sono arrivata, non mi hanno fatto tirare fuori un peso, e quindi per me era un piacere. Alla fine l’hanno spuntata loro, aggiungendomi altre 9 empanadas, 9 perché la scatola non si chiudeva più, altrimenti sarebbero arrivate a 12 così da fare il prezzo pieno. Avrebbero tranquillamente potuto dirmi un prezzo più alto, sapevano delle mie possibilità, o avrebbero quantomeno potuto accettare la mia proposta, visto che lo facevo con piacere. Ma non hanno voluto. La correttezza è un altro valore della loro scala morale, e poco importa se davanti avevano un’europea, mi hanno trattato come una di loro, ed io ne sono rimasta ancora una volta stupita.
Vedendo che l’insalatiera ormai era quasi vuota si sono rianimate, hanno deciso di comprare un paio di empanadas a testa, e così sono finite tutte. “Abbiamo venduto anche tutto il cibo, l’evento è riuscito perfettamente, dobbiamo replicarlo al più presto!”, si dicevano l’un l’altra.
Quando è arrivato il momento di andarcene, perché la pioggia stava rallentando, Edoardo ha preso la scatola con le empanadas, io ho messo il cappuccio e siamo usciti. Forse qualcuno lassù davvero esiste, forse ci ha osservato ed ha apprezzato il gesto delle empanadas, fatto sta che dopo un paio di cuadras “scomode” abbiamo fatto tutte strade asfaltate, dove c’erano pozzanghere, ma nient’altro. “In fondo vivere qui non è proprio male - ho detto a Eduardo - se riesco a camminare persino quando piove è fatta!”, lui mi ha sorriso, e mi ha risposto che se volevo provare l’ebbrezza degli effetti della pioggia bastava girare l’angolo e cambiare strada. Ho deciso di non tentare troppo la sorte, in fondo avevamo una missione da compiere, ed era quella di portare la scatola di empanadas a casa per cena.