Torno in Italia con una valigia che pesa perché contiene due amache. Però tante cose le ho lasciate : i sandali ad esempio ora li indossa una ragazza di 24 anni , che è arrivata ad Ixtepec scalza e con tre bambini, il più piccolo non camminava neanche. Ho lasciato le lenzuola a Geovanny, almeno potrà coprire il materassino di notte, quando si adagia al suolo.
Anche gli stivaletti Magnum sono rimasti ad Ixtepec, li ho dati a Reinaldo, un ragazzo piccolino, che aveva solo le infradito. Quelle Magnum hanno girato il mondo insieme a me, ma con lui faranno molti più chilometri, e ce la faranno a superare la barriera messicana.
Tutti dovrebbero provare la gioia che si prova nel donare qualcosa a qualcuno che ne ha veramente bisogno, e ancor più la gratitudine nel ricevere un dono da chi non ha niente.
A Jose Ayadir, ad esempio, ho regalato una copertina leggera che avevo scippato in aereo sul volo dell’andata. Lui mi ha donato una Lempira, ovvero la banconota dell’Honduras, è l’unica cosa che conservava del suo paese natale, e a nulla sono serviti i miei tentativi di non voler accettare. “Voglio che lo tenga tu, così potrai ricordarti sempre di questa esperienza”, mi ha detto il pomeriggio. La sera, poi, è tornato con un nuovo dono: un piccolo vaso con fiori rosa, realizzati con una lattina di succo di fragola. “Perché ad una donna bisogna sempre regalare dei fiori, per ricordarle quanto è importante”, ha esclamato mentre mi consegnava il vasetto in mano, ed in quel momento ho fatto fatica a sostenere il suo sguardo. Quante lezioni di vita che ho ricevuto qui ad Ixtepec, quanto mi hanno lasciato queste persone della loro anima...
A Joel ho lasciato il mio Power Bank, così potrà caricare quel telefono senza camera e senza auricolari che lui e gli altri ragazzi usano per rimanere in contatto con le loro famiglie. E gli ho donato anche la maglietta dell’evento che abbiamo realizzato a Lecco lo scorso 20 Giugno, in occasione della Giornata Internazionale del Rifugiato. In quella maglietta c’è incisa una frase dalla potenza disarmante: “NO HUMAN BEING IS ILLEGAL”, ovvero “Nessun essere umano è illegale”. Mi ha promesso che la custodirà, la porterà con sé, e la indosserà il giorno in cui cercherà di attraversare la frontiera con gli USA.
Cosa dire di più…in queste settimane in tanti mi hanno chiesto che succede in Europa, in Italia con i migranti, mi hanno chiesto quale sia il percorso più duro , ed io ho sempre faticato a dare una risposta.
Come faccio? Chi sono io per sentenziare se è più brutto morire affogati in mare, oppure disidratati nel deserto, oppure se è peggio morire tentando di aggrapparsi ad un treno in corsa, che ti fa in tanti pezzi ? O ancora se è peggio spegnersi piano piano, subendo torture, nell'attesa di un riscatto che non arriva?
Chi sono io per definire il tipo di morte peggiore?
Però c'è una cosa che fa pendere l'ago della bilancia (nel senso della difficoltà ) a favore dell'immigrazione europea, ed é la barriera linguistica .
Perché in questo lato del mondo la lingua che si parla è la stessa. Centroamericani e messicani parlano in spagnolo, comunicano, possono capirsi.
Io li ho visti i messicani con le loro auto venire fuori dall'albergo, con il bagagliaio colmo di ceste di tacos, tortillas, zuppa e un refresco. Li ho visti i messicani entrare nell'albergo, parlare con i migranti, piangere con loro nell’ascoltare le storie. E mi chiedo cosa succederebbe se tutti gli africani (ma anche gli afghani, i siriani, i pakistani etc) avessero il diritto di parola, avessero la capacità di comunicare attraverso la stessa lingua di coloro che accolgono.
Sono sicura che tante chiacchiere diventerebbero zero, che non ci sarebbe tutta questa manipolazione mediatica alla quale assisto inerme e con rabbia.
Un mondo con meno propaganda e più umanità: ecco quello che ci sarebbe.
NELLA FOTO, in senso orario, il fiore di latta donatomi da Jose Ayadir; il cielo che unisce il Messico e gli Usa; Joel con la maglia del World Refugee Day Lecco; ed infine un’intervista che la sottoscritta ha rilasciato al settimanale Esta Mañana , traccia indelebile del mio passaggio ad Ixtepec.