El tren

Son più di due settimane che sono qui.
Ho rifatto tutte le interviste che avevo fatto i primi giorni, e sono uscite fuori molte più cose. Perché loro adesso si fidano di me, ed io mi fido di loro , totalmente . Non mi fanno mai uscire da sola, sempre mi accompagnano almeno in due, "perché non ti dimenticare mai che il Messico è il paese più violento al mondo, siamo secondi soltanto alla Siria", mi ha ripetuto Padre Alejandro in più occasioni.
Ma io ho delle guardie del corpo speciali, sono i miei amici, e mi sento al sicuro.

Ho legato con tanti ora, mi fermano, mi raccontano le loro storie, parliamo dell'Italia e dei mille modi in cui cucinare la pasta. Si condivide una quotidianità qui che è un'attesa, un qualcosa di passaggio, e forse per questo che tutti cerchiamo di sfruttarla al meglio . Con Joel, ad esempio.

Non so quante ore abbiamo parlato con Joel, e continuerei all'infinito, se solo fosse possibile. È una persona che sempre pensa prima di parlare, sempre usa le parole giuste, ironico ma senza stancare . E a lui non importa che il mio spagnolo alle volte diventa uno SpanishEnglishItalian , perché sempre riesce a capirmi , e mai si stanca di ripetermi. Mi ha detto che mi osservava i primi giorni , percepiva il mio disagio, ma non poteva venire , perché ci vuole tempo.

"Domani c'è la partita, giochiamo allo stadio quello grande, vieni vero?", mi chiede. Gli rispondo che non era nei miei piani, perché ho già fatto varie riprese mentre giocano a pallone , e non me ne servono Altre. 

"Vieni senza macchina fotografica , vieni a divertirti con noi , sai quanto sarebbe bello per noi sapere che sei lì non per il tuo lavoro ma per vederci giocare ?". 

Quella risposta così semplice mi ha fatto Aprire gli occhi, togliendomi dall'ottusità nella quale mi ero rifugiata, senza saperlo forse. Improvvisamente mi sono immaginata cosa significa vivere due settimane con un obiettivo sempre puntato addosso.
Li ho ripresi senza sosta, instancabilmente, dalle 6.30 di mattina quando iniziavano ad alzarsi, alla sera quando adagiavano i materassini a terra, qui sul cortile, e si avvolgevano il petto nudo con la coperta. 
Ieri quando rientravamo dopo l'ennesima sessione di riprese all'esterno un ragazzo mi ha chiesto quale fosse il proposito di tutto questo mio lavoro, perché dura così tanto tempo. Gli ha risposto Geowanny che io voglio cercare di far vedere oltre quello che dicono i giornali, far capire come si sente un migrante, al di là delle etichettature, soltanto come persona. 
Non gli avevo mai parlato in questi termini a Geowanny , ma questa è l'idea che si è fatto lui, osservandomi.  

Nelle foto si vede la "Via del tren", è così che loro arrivano fin qui, seguendo i binari. E sono quegli stessi binari che, percorsi all'infinito, portano agli Stati Uniti.

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