Darìo è stato il primo a parlarmi dell’esistenza delle Villas in Argentina, a farmi nascere la curiosità di scoprire questi luoghi “che non sono come le favelas brasiliane, sono un mondo a sé”, aveva tenuto a precisare.
Aveva seguito i miei racconti sulla Villa31, ogni sera tentavo di mandargli un messaggio, con le mie impressioni, e lui, seppur in maniera cauta, mi diceva che a Mar del Plata avrei trovato tutt’altro. “Perché alla Villa31 stanno facendo un processo di urbanizzazione che va avanti da dieci anni, qui invece è tutto fermo”, mi diceva.
I primi giorni a Mar del Plata sono passati velocemente, stamattina invece ci ha accolti una giornata uggiosa, di quelle con un cielo grigio che non promette nulla di buono. Aveva piovuto tutta la notte. Io ero abbastanza sconsolata. “Non pioverà di nuovo, è arrivato il nostro momento, possiamo uscire!”, mi ha detto, ed ecco tutt’un tratto illuminarsi i miei occhi.
Non abita lontano dalla Villa, l’avevamo vista passando con l’autobus, ma mi ha detto che non si era mai avvicinato lì, tantomeno addentrato. Ci sono due villas vicino casa sua, sull’avenida Vertis, e la storia sul loro conto è davvero paradossale. Sorgono sui binari del treno, per la precisione del treno merci che collegava il porto di Mar del Plata con Buenos Aires. A un certo punto però la gente ha iniziato ad occupare quel lembo di terra, a insediarsi proprio su quei binari, ed ecco che la circolazione del treno è stata interrotta. Ora il traffico merci viaggia per camion.
Mi ha fatto uscire senza niente, in tasca solo la tessera dell’autobus, una banconota e il telefono argentino. Il Huawei se lo è messo in tasca lui, perché nelle mie non entrava.
“Questo telefono qui non è ancora arrivato, immaginati quanto possa fare gola a chi non ha neanche un tetto sulla testa”, mi aveva detto. Era un tentativo pacato per dissuadermi a lasciarlo a casa, ma quel monito non era valso: okay la reflex, ma il telefono veniva con noi.
Camminavamo, le strade erano piane, ampie e asfaltate, ma quando ci siamo avvicinati alle villas beh… lo scenario è cambiato prepotentemente. Mi sono tornati in mente gli slums di Haiti, quei quartieri fantasma che avevo visitato a Port au Prince tanti anni fa. Case di lamiera a destra e sinistra, polli, galline e cani vagavano qua e là, la perfezione delle cuadras aveva lasciato il posto al disordine più completo, con cunicoli che diventavano strade. Abitazioni di lamiera arroccate le une sulle altre. Ce ne erano alcune di mattoni e cemento, ma ben poche. Ho visto case costruite appoggiate ai pali dell’alta tensione, e mi chiedevo come si potesse anche solo minimamente immaginare di insediarsi in un luogo simile.
Camminavamo su un pantano, la pioggia aveva creato tutta melma, e riuscire ad evitare le pozzanghere era impresa ardua. Ma ero con Dario, mi sentivo tranquilla, gli afferravo il braccio e camminavamo a braccetto. Nei punti nei quali il terreno era più scivoloso facevo ancora più forza nella presa, e lui sosteneva entrambi.
Proseguivamo adagio, mi ha detto che non si sarebbe mai sognato di trovarsi in quel luogo prima di allora, e immagino le imprecazioni che mi stava lanciando in cuor suo.
La giornata uggiosa ha giocato a nostro favore, non per il tragitto ovviamente, ma per il fatto che per strada non c’era quasi nessuno, oltre agli animali. E così di tanto in tanto ci fermavamo, gli mettevo una mano in tasca e prendevo il cellulare, formavamo una V e iniziavo a fare foto e video. Tanto giravo io con il busto quanto roteava lui, tentando di coprire il più possibile il telefono, ma tenendo allo stesso tempo la visuale più ampia possibile.
Quando davanti a noi è riapparsa la strada asfaltata, abbiamo tirato entrambi un sospiro di sollievo, godendo della sensazione di sentire i piedi ben saldi a terra.
Nella foto partendo dal basso a sinistra e proseguendo in senso orario: un primo piano del mate, senza dubbio la bevanda che ha più caratterizzato la mia permanenza a Mar del Plata. A seguire – a grande richiesta! - una foto ricordo con la zia e la nonna di Dario; un selfie davanti al Teatro Colon, e poi una foto con Anna, una signora che mi ha fatto morire dalle risate raccontandoci le sue disavventure in un corso di teatro che sta frequentando in questi giorni. Infine ultima foto ricordo alle 2 di notte alla stazione degli autobus, mezzi addormentati, con Dario e sua nonna, aspettando l’arrivo del bus che mi avrebbe riportato a Buenos Aires.