Spostarsi via terra in Messico è poco consigliabile, perché i “cartelli della droga” sono ovunque, hanno occhi in tutte le arterie. Mi era stato altamente sconsigliato prima della partenza, soprattutto in un territorio “caldo” come quello del confine. Ed anche a Matamoros ne ho sentite di storie su questi famigerati tragitti. Fermano gli autobus, salgono e ti chiedono di pagare per continuare, è meglio per te se i soldi li hai…
Io ho cercato di ridurre gli spostamenti al minimo, ma qualcuno, però, ho dovuto farlo per forza. Quello da Matamoros a Monterrey, ad esempio, dove avrei dovuto raggiungere l’aeroporto. Dalla mia avevo due fattori: il primo è che andavo in senso contrario, ovvero mi allontanavo dal confine per tornare nel cuore del Messico (tragitto opposto rispetto a quello dei migranti), e dall’altra il passaporto europeo.
Son partita di mattina, il bus era quasi pieno,il tragitto è stato lungo ,perché non siamo andati subito a Monterrey, ma abbiamo percorso un pezzo , di confine,attraversando Reynosa (altro luogo caldo…).
Dopo circa tre ore, nel mezzo del niente, il bus si ferma e l’autista scende. Poco prima avevamo passato un presidio della policía federal, ma non ci avevano fermato.
E poi invece questo stop,in una piazzola nel nulla. Ecco che arrivano due persone e parlano con l’autista. Sale sul bus il primo: è un ormone vestito di nero,con tanto di passamontagna che gli lasciava scoperti solo gli occhi. Poteva essere un poliziotto, soltanto che non aveva alcun distintivo nè scritta sulla “pseudo divisa”. Fa un giro di perlustrazione, scruta tutti e poi scende.
Confabulano sotto, ed ecco che sale una donna. Lei è vestita con una pseudo divisa color sabbia, ed ha una kefiah al collo (ah, entrambi erano armati).
Si dirige verso di me,la tizia seduta al mio fianco si affretta a dire che non mi conosce. Mi chiede il passaporto prima, e poi di farle vedere lo zaino. Non glielo passo, mi limito a tirarlo su (lo avevo in mezzo alle gambe) e glielo apro davanti (mantenendo la distanza). Avevo messo il cappello in modo che coprisse la macchina fotografica, ma certo, bastava spostarlo e l’avrebbe vista. Non mi fa domande, al di là del generico “da dove vieni”. Mi abbozza un sorriso e scende. Penso di aver smaltito anni di vita in quei pochi minuti. Poi per fortuna l’autista risale e riprendiamo il tragitto.
Non saprò mai se si sia trattato di poliziotti o meno. Ad ogni modo è andata bene (e posso raccontarlo).
È così che arrivo a Monterrey con la tensione in corpo, e la stanchezza accumulata nei giorni precedenti. Soprattutto dalle storie ascoltate, che ti porti dentro, e poco a poco ti logorano.
Ed invece questa città è stata una piacevole scoperta, mi ha fatto dimenticare per un po’ il motivo del mio viaggio .
Mi ha fatto sentire in Messico, mi ha fatto percepire il Messico quello vero, dei quadri di Frida Kalho e Diego Rivera, della musica che risuona in ogni angolo della strada, di quell’atmosfera così coinvolgente che non può rimanerti indifferente.
Monterrey è considerata un po’ la “Milano del Messico”, un centro industriale imponente e in continua espansione. Da un po’ di tempo però l’hanno rivitalizzata con una serie di iniziative culturali. Ci sono musei, teatri, opere d’arte a cielo aperto, e tanti eventi.
Lo stile coloniale è forte ed imponente. La Gran Plaza, ad esempio, è una delle piazze più grandi al mondo. Alterna edifici di stampo coloniale e tradizionale, ad opere architettoniche moderne e contemporanee. Un mix affascinante.
Poco più di 24 ore ho trascorso in città, sono arrivata infatti alle 13, e all’indomani, alle 14, ero già in aeroporto. Però ci voleva questa ventata di aria nuova, malgrado l’afa asfissiante.
Mi è piaciuto passeggiare per il Barrio Antiguo, vicoli stretti, edifici colorati, pieno di bar, caffetterie negozi artigianali e di souvenir. Ho beccato anche il mercatino dei campesinos!
Nel pomeriggio sono andata al Paseo di Santa Lucia: è un canale artificiale con un lungomare pedonale, una pista ciclabile, delle aree verdi e una serie di sculture di artisti messicani. E’ stato rilassante fare su e giù, mi sembrava per un attimo di essere tornata a Bruges.
Insomma, doveva essere una meta anonima e insignificante, ed invece mi ha dato la giusta carica per affrontare le prossime tappe.
Sarebbe un’ideale meta per un weekend, peccato che sia leggermente fuori mano per una gita fuori porta!