Quest’oggi ho raccolto un’intervista fuori dall’ordinario: un uomo che vive in Tailandia da quasi vent’anni, ma continua a sognare e a rimpiangere l’Italia.
E’ venuto prima per lavoro, poi in vacanza, dopodiché il divorzio , lo sbando e la decisione di riprendere in mano la sua vita da quest’altro angolo del mondo.
Ci ha provato, si è fatto una nuova famiglia qui, ma i nodi sono venuti al pettine: le differenze culturali alla lunga hanno prevalso, il gap si è fatto più ampio, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno.
“Perché non torni in Italia?”, gli ho chiesto.
“Mio figlio è qui, come faccio ad abbandonarlo?”
“I tailandesi sono falsi con noi – ha aggiunto - gli stranieri vengono visti solo come bancomat”.
Farang: è così che vengono chiamate le persone di “razza bianca”
Ne scriverò, scriverò di lui e delle altre testimonianze raccolte in questi giorni. Ma il suo racconto non mi ha lasciato indifferente.
Le storie delle migrazioni hanno sempre una veste malinconica, è vero, ma quando vengono innescate da una “bravata” beh…penso che il boccone sia duro da mandare giù.
Per il resto quest’oggi mi sono data al turismo, muovendomi lungo il fiume Chao-phraya con dei battelli che funzionano a mo’ di metropolitana e ti fanno raggiungere varie mete turistiche.
Nella foto sono al Wat Pho, con il Buddha Dormiente: una delle icone della città, il più antico tempio di Bangkok ed il più grande della Thailandia con i suoi 43 metri di lunghezza e 15 metri di altezza.
Una cosa da niente, no?
E’ grande Bangkok, pullula di vita, parliamo di una metropoli di oltre sedici milioni di abitanti, eppure quest’oggi in più momenti mi è sembrata vuota.